I nastri di Legasov - NASTRO 3, LATO B

I nastri di Legasov – NASTRO 3, LATO B

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Tutto questo aveva una qualità irregolare, improvvisata. Da una parte, questo poteva esser spiegato dalla giovinezza di questa branca tecnologica, e da una parte era certamente così; d’altro canto, era anche il riflesso di un modo di lavorare complessivamente e generalmente scorretto. Quando Nikolai Ivanovich pronunciò le sue parole, che illuminarono tutti gli eventi precedenti, realizzai come quelle fossero le parole giuste. Realizzai anche come tutto questo non fosse specifico dell’industria atomica, ma piuttosto la conseguenza del modo in cui il lavoro era complessivamente organizzato, il modo di creare, in modo frettoloso, una nuova branca tecnologica di cui l’economia nazionale necessitava.

Il modo di organizzare il lavoro nei cantieri di costruzione era il seguente: incoerenza nelle diverse modalità di produzione, ad esempio nella produzione di elementi combustibili, nell’attrezzatura per la costruzione dei macchinari, nell’impreparazione dei costruttori nell’usarli, molta spazzatura nei cantieri, cambiamenti costanti e incomprensibili nel numero degli addetti alle costruzioni (per cantiere intendo delle centrali nucleari), a volte troppi, altre troppo pochi. I lavori, per così dire, procedevano sulla centrale, poi si fermano bruscamente perché questa o quella attrezzatura mancava.

Tutto questo era molto spiacevole e, allo stesso tempo, difficilmente unico o specifico per l’industria dell’energia nucleare stessa. Ecco perché le parole di Nikolai Ivanovich Ryzhkov andrebbero comprese in un contesto molto più ampio. Quando visitai la stazione di Chernobyl dopo l’incidente e vidi cosa stesse succedendo, io stesso trassi una conclusione precisa e inequivocabile: che il disastro di Chernobyl fosse un’apoteosi, l’apice di tutta la cattiva gestione portata avanti per decenni nel nostro paese.

Naturalmente, quello che è successo a Chernobyl ha colpevoli reali, non astratti, da incolpare. Sappiamo già ora che il sistema di controllo della protezione (PCS) del reattore avesse un difetto e molti scienziati che lo sapevano avessero proposto modi per correggere questo difetto. Ma il capo progettista, non volendo fare, per così dire, un lavoro rapido e aggiuntivo, non aveva fretta di cambiare il sistema di controllo della protezione.

Inoltre ci sono, ovviamente, colpevoli specifici. È successo alla stessa centrale di Chernobyl per molti anni di condurre, per così dire, esperimenti i cui piani venivano realizzati con molta noncuranza e sciatteria. Prima di effettuare esperimenti non c’erano simulazioni di possibili situazioni da testare: cosa sarebbe successo in caso di malfunzionamento dei sistemi di protezione; cosa sarebbe successo se il processo non fosse eseguito come previsto; come dovrebbe reagire il personale in una situazione o nell’altra; se si potesse lasciare in funzione il reattore quando venisse interrotta l’erogazione di vapore alla turbina e, se questo venisse fatto, cosa sarebbe potuto accadere se fossero accese le pompe di circolazione principali e così via.

Il buon senso suggerirebbe che tutti questi casi debbano essere simulati prima di tentare qualunque esperimento, sia questo in particolare che altri. Ma niente del genere, ovviamente, venne fatto. C’era un assoluto disprezzo del punto di vista del capo progettista o del supervisore scientifico. C’era bisogno di una lotta per… [la registrazione è danneggiata]

…Parliamo del dialogo con Mikhail Sergeyevich Gorbachev. Mentre mi trovavo a Chernobyl, parlai con lui tre volte al telefono. Fu abbastanza strano. Lui, ovviamente, avrebbe solitamente chiamato il secondo vice della Commissione Governativa, il compagno Silaev Ivan Stepanovich, o forse avrebbe chiamato Shcherbina, ma se successe non accadde in mia presenza. Ma a volte, quando eravamo da Silayev, allora Gorbaciov chiamava. Ivan Stepanovich gli raccontava il suo punto di vista e poi, quando servivano informazioni tecniche più dettagliate, specifiche, chiedeva: “A chi dovrei dare il telefono, Velikhov o Legasov?” La riposta: “Passa il telefono a Legasov”.

Fu così che cominciammo a colloquiare. La prima volta Mikhail Sergeyevich parlò per due o tre minuti. “Che succede lì? Sono molto preoccupato di questo problema. Il nome di Gorbaciov viene offuscato in tutto il mondo a causa di questo incidente. L’isteria di massa è già iniziata. Qual è la vera situazione lì?”. In risposta, delineai per lui la situazione; in pratica, era quella del 2 maggio; la chiamata avvenne intorno al 4 o 5 maggio: le emissioni di radiazioni dal blocco distrutto erano cessate e la situazione era sotto controllo. L’entità della contaminazione nelle aree adiacenti alla stazione di Chernobyl, così come l’entità della contaminazione nel mondo, ci era più o meno nota. Era già chiaro per noi che le persone ferite dalle radiazioni, ad eccezione di quelle che lavoravano alla centrale di Chernobyl al momento dell’incidente, erano limitate; spiegai come il controllo della popolazione fosse completo; che se i paesi che avevano subito le ricadute nucleari dell’incidente avessero adottato adeguate misure informative e sanitarie, allora non ci sarebbero conseguenze reali per la salute delle persone.

Questo è quanto dissi a Mikhail Sergeyevich il 6 maggio, non sapendo che lo stesso giorno una sessione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, appositamente riunita su questo tema, era giunta alla stessa conclusione. Che l’incidente non stesse rappresentando alcuna minaccia per le persone dell’Europa occidentale e di altri paesi. Parlai anche della situazione specifica, dove fossero le aree fortemente contaminate, dove la situazione fosse più o meno favorevole, e come stessero procedendo i lavori. Rimase soddisfatto di questa conversazione.

Il giorno seguente, trovandoci di nuovo nell’ufficio di Ivan Stepanovich Silaev, il telefono squillò nuovamente e questa volta chiese che il telefono fosse passato a Evgeny Pavlovich Velikhov. Iniziò col chiedergli le cause dell’incidente, ma Evgeny Pavlovich iniziò a dare spiegazioni molto confuse, aggiungendo che io glielo avrei spiegato meglio, passandomi così il telefono. Fui forse troppo generoso con i dettagli, ma spiegai perché si fosse verificato l’incidente. In quel momento, Mikhail Sergeyevich mi chiese di scrivergli una lettera personale. Quello che mi soprese fu che io, nello specifico, dovetti inviare una lettera su quanto successo e su cosa dovesse a mio avviso essere segnalato. Mi misi dunque subito a scrivere questa lettera e, dopo alcune modifiche di Ivan Stepanovich Silayev, venne inviata a Gorbaciov quella stessa notte, firmata da Silayev, Velikhov e me.

Ivan Stepanovich Silayev, durante il suo mandato, prestò la massima attenzione ai lavori di costruzione – ovvero l’organizzazione delle fabbriche di cemento e la spedizione dello stesso – perché era chiaro per lui che l’area intorno al quarto blocco dovesse essere cementata il più possibile. Era molto arrabbiato con, diciamo, Makuhin, il Primo Vice Ministro dell’Energia e dell’Elettrificazione che, gli sembrava, stesse lavorando troppo lentamente; prese poi la rapida decisione di licenziarlo. Questa decisione non venne mai attuata, ma tali parole vennero pronunciate. Fu Ivan Silayev a introdurre il sistema di ricompense monetarie per lo svolgimento dei compiti più pericolosi. E i compiti più pericolosi durante il suo mandato erano determinare se ci fosse o meno acqua all’interno dei gorgogliatori superiori e inferiori e nelle stanze sotto la sala del reattore: tale compito era cruciale. Eravamo preoccupati che una parte del combustibile fuso arrivasse lì e – forse – potesse condurre a una potente vaporizzazione esplosiva che portasse con sé ulteriore radioattività. Dovevamo quindi sapere se quei gorgogliatori fossero vuoti o meno. Dopodiché, avremmo dovuto decidere se lasciarli vuoti o riempirli con cemento speciale. Ivan Stepanovich Silayev dovette affrontare tutti questi problemi.

Era piuttosto difficile raggiungere i gorgogliatori in quanto i corridoi adiacenti erano inondati d’acqua, dato che le squadre utilizzavano acqua per raffreddare il reattore, la quale poi si infiltrava ovunque. I livelli di radioattività in quell’acqua erano piuttosto alti, fino a un curie per litro in alcuni luoghi e in determinati momenti. I dispositivi di pompaggio vennero accesi e l’acqua venne così pompata fuori. La saracinesca che doveva essere aperta per determinare se ci fosse acqua all’interno dei gorgogliatori venne aperta manualmente da uno degli operai della stazione in condizioni estremamente difficili. Così la sera Ivan Stepanovich lo ringraziò solennemente e gli donò mille rubli, ottenendo il preventivamente il permesso necessario per farlo. Vidi il volto di quell’uomo che, da un lato, era molto orgoglioso di essere riuscito a svolgere questo difficile compito in condizioni così difficili. Tuttavia, d’altro canto, si vedeva come accogliesse quel pacco di soldi non come un premio. Fondamentalmente, era scomodo per lui rifiutare questi soldi, ma allo stesso tempo, la forma in contanti del premio stesso non gli piaceva davvero. Probabilmente perché in effetti, soprattutto in quel periodo, le persone che combatterono con questo incidente cercarono di fare del loro meglio, di fare tutto il possibile, senza pensare a nessun tipo di incoraggiamento, materiale o morale che fosse. Tutti lavorarono come un unico collettivo cercando di trovare le soluzioni migliori.

Durante quel periodo faceva spavento guardare il compagno Konviz – era dell’Hydroproject e capo ingegnere della centrale – perché, credo, non dormisse mai, nemmeno per un minuto. E naturalmente, per scoprire come accedere alle varie stanze, tutti si rivolgevano a lui, ai suoi disegni o semplicemente alla sua memoria, alla sua esperienza.

 

Ecco, questo mi ricorda molti episodi fastidiosi. Guardavi i disegni e vedevi un corridoio aperto? Bene: cominciavi a muoverti lungo questo corridoio e all’improvviso ti imbattevi in un muro. Il muro era stato ovviamente costruito lì a causa di alcune considerazioni ingegneristiche dopo il completamento della struttura. Non era nel progetto, ma c’era e non era mostrato in nessuno dei disegni. C’erano anche casi inversi, quando, dove avrebbe dovuto essere un muro secondo i disegni, in realtà, c’era una porta. Noi stessi riscontrammo casi del genere.

Fu particolarmente difficile per i minatori perché, sotto il terreno della centrale era interrato un gran numero di tubi e di piastre. Così, quando lavoravano usando il loro scudo per tunnel o qualcosa di simile, la loro strada sembrava essere chiara guardando i disegni dei servizi sotterranei, ma poi, lavorando, incontrarono costantemente ostacoli non mostrati nei disegni.

C’erano molte incongruenze tra la parte documentale che era alla centrale e la realtà in vari luoghi della stessa e delle strutture sotterranee. Tutto ciò dava certamente un’impressione di grave incuria, di grave trascuratezza nel mantenere una documentazione che invece avrebbe dovuto essere accurata nel descrivere in ogni momento lo stato delle strutture edilizie, dei camminamenti e delle comunicazioni elettriche. Sfortunatamente, ci imbattemmo in questa sciatteria abbastanza spesso. Allo stesso tempo, voglio sottolineare il fatto che sebbene queste cose fossero irritanti, se affrontate giorno dopo giorno, in quel momento le persone erano così determinate, volevano così ardentemente completare il loro lavoro, che tutti questi casi di sciatteria non causarono clamore. Tutto questo passava in secondo piano rispetto alla volontà di affrontare la situazione nel minor tempo possibile.

Il numero di persone che soggiornavano nel sito aumentava di giorno in giorno perché ogni gruppo richiedeva sempre nuovi assistenti, i quali arrivavano con apparecchiature, con documenti, con strumenti di lavoro necessari per svolgere i vari compiti. Questo aumento del numero di persone richiedeva nuove modalità di organizzazione del lavoro perché non era più possibile dare personalmente istruzioni specifiche. Ecco perché dopo che i problemi principali vennero risolti (intendo proteggere le persone dal pericolo immediato e localizzare il disastro stesso), nacque la questione di gestire tutti questi numerosi gruppi di persone che si erano riuniti lì su suggerimento della Commissione Governativa secondo le decisioni del Gruppo Operativo del politburo del Comitato Centrale, i quali come detto soggiornarono in numero sempre crescente, insieme alle proprie attrezzature, sul territorio della Centrale Nucleare di Chernobyl.

Divenne quindi necessario organizzare contemporaneamente una serie di compiti di tipo completamente diverso. Innanzitutto, iniziò la progettazione della copertura che in seguito sarebbe stata chiamata “sarcofago”. Questo progetto doveva essere eseguito contemporaneamente nel sito e nelle diverse organizzazioni di progettazione situate nelle città dell’Unione Sovietica, principalmente a Mosca e Leningrado. Fu necessario lavorare subito alla decontaminazione della zona, seguendo la linea guida di passare dalle aree più contaminate a quelle meno contaminate. Era necessario effettuare un rilievo del territorio, continuare questa ricognizione e verificare come la radioattività venisse diffusa dal vento e dai veicoli. Fu necessario affrontare il problema della verifica delle attrezzature nel primo e nel secondo blocco, della verifica della restante struttura e delle attrezzature nel terzo blocco. Fu necessario valutare le condizioni di tutte le stanze e le aree dell’intera centrale di Chernobyl, delle aree circostanti e delle strade. Fu necessario ospitare le divisioni dell’Esercito e le varie organizzazioni di costruzione che erano arrivate per aiutare a risolvere questa situazione. Fu necessario istituire un sistema di gestione adeguato per la ricerca scientifica, la progettazione e l’esecuzione di progetti in tutte queste aree di lavoro molto diverse. Il sistema di gestione di questo complesso meccanismo venne definito gradualmente.

I primi due gruppi guidati da Boris Yevdokimovich Shcherbina e Ivan Stepanovich Silayev erano occupati esclusivamente dai compiti più importanti e urgenti. Grazie all’arrivo del compagno Voronin, lo schema generale di gestione del lavoro aveva cominciato a prendere forma. Era già stata stabilita una procedura per l’ordine dei materiali; una procedura per l’adempimento del lavoro. Divenne chiaro come un gruppo di ricercatori dovesse lavorare esclusivamente sui compiti relativi al 4° blocco, mentre un altro si sarebbe occupato dell’area circostante. Il terzo gruppo: implementatori, non ricercatori – queste erano principalmente le divisioni dell’Esercito – iniziarono a decontaminare le stanze del primo e del secondo blocco e si prepararono anche per la costruzione del sarcofago, perché il progetto era già in stato avanzato di progettazione a Mosca.

Il compagno Voronin venne sostituito da Yury Nikitich Maslyukov e durante la sua presenza venne fatto molto lavoro per costruire nuovi locali e nuovi villaggi per gli sfollati. Il trattamento delle strade era iniziato e i primi preparativi iniziarono davanti al quarto blocco per la costruzione del sarcofago. Il sarcofago stesso non era ancora stato iniziato ma gli approcci ad esso erano già stati concretizzati. Le aree più contaminate erano state bonificate o cementate per consentire ai costruttori di iniziare i lavori per la costruzione della struttura.

Quando il compagno Gusev arrivò sul posto con la sua squadra, si stavano abbozzando i principali elementi di design. Era già stato deciso di affidare la costruzione del sarcofago a SU-605, un dipartimento del Ministero delle Costruzioni di media dimensione, e che dovesse essere effettuata un’approfondita valutazione delle condizioni interne del quarto blocco, della solidità strutturale del suo edificio rimanente, in modo che il progetto potesse fare affidamento su alcune analisi, su alcuni dati verificati.

Il compagno Vedernikov e la sua squadra sostituirono a loro volta Gusev quando la costruzione del sarcofago era già iniziata. Inoltre, in particolare sotto Vedernikov, con la partecipazione del capogruppo dell’Istituto per l’Energia Nucleare, il compagno Tutnov, fu presa una decisione che rese più facile e veloce la costruzione del sarcofago. In origine il piano era di costruire una cupola interamente in cemento sopra il relitto. Tuttavia, i calcoli avevano mostrato che il tempo necessario per la costruzione del sarcofago potesse essere notevolmente ridotto se la cupola di cemento – la cui affidabilità era messa in dubbio per via del suo peso – fosse stata sostituita, per così dire, da un sistema a tubi. Tale struttura di sostegno del tetto avrebbe protetto il sarcofago dalla possibilità di emissione di polvere radioattiva. Tuttavia, una quantità maggiore di radiazioni sarebbe fuoriuscita attraverso questa copertura superiore, ma sarebbe stata paragonabile o addirittura inferiore alla radiazione totale sul sito. La decisione corretta venne presa durante il periodo del compagno Vedernikov.

Gradualmente emerse un certo quadro di organizzazione del lavoro. Ne derivò che il gruppo di ricerca dell’Istituto di Energia Nucleare insieme a vari esperti dovevano – era questo il loro principale obiettivo – indagare a fondo sullo stato del quarto blocco. In primo luogo, dovevano rintracciare il carburante atomico e determinare come si fosse distribuito. In secondo luogo, dovevano installare il massimo numero di sensori che accertassero lo stato del quarto blocco. Una parentesi: questo gruppo venne successivamente guidato da esperti come Yury Vasilievich Svincev, Anatoly Mihailovich Polevoi e Tutnov come ho già detto; poi dal compagno Kuharkin Nikolai Evgenievich; molto lavoro venne realizzato poi quando il gruppo venne guidato dal compagno Pologikh Boris Grigorievich. Inoltre, i gruppi di ricerca sotto i quali venne svolto molto lavoro furono guidati da Kulakov e Borovoi.

Qui devo rendere omaggio al compagno Schekalov, un esperto dell’Istituto di Energia Nucleare, e anche agli esperti dell’Istituto Ucraino di Ricerca Nucleare di Kiev, i quali fecero grandi sforzi per trovare i percorsi appropriati, inserire i sensori necessari e tirare i cavi verso di essi. Per quanto riguarda i sensori di neutroni, erano sotto la responsabilità del CNIIP (l’Istituto Centrale per i Progetti e le Ricerche Scientifiche) del Ministero delle Costruzioni di media dimensione. Gli esperti di questo istituto erano guidati dal compagno Zhernov. In generale, uno dei loro compiti era mettere vari sensori nel quarto blocco per misurare i campi gamma e i campi di neutroni, misurare la temperatura, misurare il flusso d’aria, misurare la concentrazione di idrogeno qualora fosse apparso improvvisamente nel sistema, macchie eccetera. Questo era un lavoro pericoloso e duro perché ogni volta dovevano recarsi all’interno del blocco e cercare i punti più adatti per diagnosticare in modo affidabile le condizioni del sito.

Allo stesso tempo, venivano realizzati continuamente video e foto delle stanze del quarto blocco che permettessero agli ingegneri di selezionare le soluzioni adeguate per la costruzione del sarcofago stesso. Durante questo, il team di progetto del NIPIET – L’Istituto per il Design di Leningrado del Ministero delle Costruzioni di media dimensione – stava lavorando in loco a Chernobyl e una serie di decisioni progettuali, sebbene il progetto generale fosse sviluppato presso l’Istituto, vennero prese lì sul posto. Il compagno Kurnosov, l’ingegnere capo di questo progetto e l’ingegnere capo dello stesso istituto, svolse una quantità di lavoro assolutamente enorme. Trovava regolarmente soluzioni adeguate quando si presentava l’una o l’altra situazione difficile.

E di situazioni difficili ce n’erano. Un tentativo di gettare cemento in un’area non ebbe successo, per esempio, perché nelle strutture si presentavano dei vuoti piuttosto grandi attraverso i quali il calcestruzzo s’infilava raggiungendo i livelli sottostanti. Bisognava quindi pensare a metodi per mantenere il cemento in posizione. Alcuni supporti non erano abbastanza forti ed era necessario realizzare dei rinforzi. Questo lavoro armonioso dei ricercatori e dei progettisti, alla fine, ha portato a una costruzione affidabile.

Un’altra serie di compiti venne eseguita da un gruppo di esperti di costruzioni del Ministero dell’Energia che stava realizzando un villaggio temporaneo chiamato Zelyoniy Mis (traducibile “Capo Verde”, ndr.). Vennero ordinate molte case prefabbricate, realizzate sia in Finlandia che in Unione Sovietica. Per i turnisti che dovevano lavorare nel primo e nel secondo blocco era stato costruito un altro villaggio molto carino con tutti i servizi necessari: con case, con negozi, con strutture culturali. Questo villaggio venne costruito letteralmente in pochi mesi. Boris Yevdokimovich Shcherbina seguì personalmente la costruzione di questo villaggio, prestando attenzione non solo ai posti dove dormire dopo il lavoro, ma anche che ci fossero fiori, che la mensa funzionasse come in qualsiasi altra parte dell’Unione Sovietica, così che la gente lì si sentisse a proprio agio. Queste divisioni del Ministero dell’Energia avevano preso parte alla costruzione del villaggio a Zelyoniy Mis nonché alla costruzione di svariate stazioni per la decontaminazione dei veicoli, molti dei quali si erano ormai accumulati sul sito.

La stessa Commissione Governativa si era già trasferita, a questo punto. Il lavoro veniva svolto a Chernobyl nell’ex edificio del Comitato Regionale del Partito, ma gli alloggi erano stati spostati a circa 50 chilometri da Chernobyl. Vi abitavano i vertici della Commissione Governativa, oltre ai vari esperti che arrivavano per svolgere determinati compiti.

Un folto gruppo di ricercatori provenienti da varie organizzazioni dell’Unione Sovietica, dall’Accademia delle Scienze, dall’Istituto Kurchatov di Energia Nucleare (quando dico Accademia delle Scienze intendo ovviamente la GeoChem e l’intera Accademia delle Scienze), tutto questo gruppo di ricercatori stava lavorando a una valutazione dettagliata della contaminazione radioattiva dell’area. Per questo, utilizzavano sia campioni statisticamente affidabili raccolti sul sito seguiti da analisi di laboratori radiochimici che erano stati dispiegati a Chernobyl, e alcuni campioni venivano inviati agli istituti – all’Istituto Radiologico o all’Istituto di Energia Nucleare – assieme a misure di campi gamma effettuate con elicotteri. Queste indagini venivano effettuate sia sulla quantità totale di radiazioni gamma sia sullo spettro isotopico delle radiazioni gamma. Vennero trovate correlazioni tra i contenuti dei singoli isotopi, utilizzando contenuti relativi di cui potremmo prevedere la concentrazione, diciamo, di plutonio che era stata rilasciata nell’ambiente. Naturalmente, campioni di plutonio, così come altri elementi alfa-attivi pesanti, venivano raccolti continuamente per confrontare i dati raccolti dagli elicotteri e attraverso la raccolta diretta.

Le responsabilità erano distribuite in modo che tutto ciò che si trovasse all’esterno della zona di esclusione di 30 chilometri venisse controllato sia dal cielo che da terra dal Comitato Statale di Idrometrologia, o Goskomgidromet, guidato dal corrispondente Yury Antonovich Izrael. Non posso dire con precisione quanto tempo abbia trascorso a Chernobyl svolgendo la parte più approfondita nella raccolta dei dati, nella loro corretta stima, nella ricerca della storia della comparsa dei punti di contaminazione. Era stato fatto un lavoro enorme e, di conseguenza, al di fuori della zona dei 30 chilometri, ricevevamo mappe sempre più precise che mostravano il grado di contaminazione delle varie aree.

All’interno della zona di 30 chilometri si parlava soprattutto di contaminazione da cesio, dato che erano apparse diverse zone ad alta concentrazione mostrate poi dalle mappe, mappe la cui definizione iniziò nel periodo che va dalla data dell’incidente fino al 20 di maggio, dopo di che venne interrotta.

Secondo le norme sanitarie esistenti, vennero prese decisioni che fissavano i limiti massimi di esposizione alle radiazioni che consentissero alle persone di vivere in aree contaminate da determinati isotopi. Le autorità locali agirono secondo queste regole, ricollocando le persone o lasciandole rimanere, facendo arrivare cibo importato o dichiarando l’area sufficientemente sicura per vivere e utilizzare la terra. Allo stesso tempo, il Comitato Statale per l’Agroindustria, o Gosagroprom, e gli esperti del Ministero delle Costruzioni di media dimensione stavano anche effettuando analisi su varie colture agricole, determinando il grado della loro contaminazione, osservando le foreste e i campi intorno alla centrale di Chernobyl, nonché all’interno della zona di 30 chilometri che intorno ad essa.

Per quanto riguarda la stessa zona di esclusione di 30 chilometri, essa era sotto la responsabilità degli esperti del Ministero dell’Energia Nucleare, degli esperti dell’Istituto Kurchatov, degli esperti dell’Istituto Radiologico e degli esperti dell’Accademia delle Scienze ucraina.

A settembre si conclusero i lavori della Commissione Governativa in forza in quel momento. Tutto il lavoro venne trasferito alla composizione rivista della prima compagine guidata da Boris Yevdokimovich Shcherbina. Successivamente, da settembre in poi, tutto il lavoro sul sito della Centrale di Chernobyl e all’interno della zona contaminata divenne di competenza della Commissione Governativa, la quale prendeva tutte le decisioni, vistava tutti i progetti, tutti i commenti e guidava tutto il lavoro.

L’ordine delle operazioni era approssimativamente il seguente. Intorno all’inizio di settembre, le operazioni di evacuazione erano state generalmente completate e gli sfollati erano stati sistemati nei villaggi di nuova costruzione. Alcuni membri del personale della centrale avevano ottenuto appartamenti nella città di Kiev e alcuni a Chernigov. Tutto sommato i problemi di alloggio erano stati risolti. Si era deciso di costruire la città di Slavutych perché fu chiaro fin dall’inizio che il metodo del lavoro a turni potesse essere utilizzato solo temporaneamente presso la centrale nucleare. E così iniziò il progetto della nuova città di Slavutych; la città che avrebbe sostituito Pripyat come residenza permanente per gli ingegneri energetici.

Il periodo di agosto e settembre fu il periodo di preparazione attiva per il riavvio del primo e del secondo blocco della centrale. Queste accensioni avvennero con successo. Inoltre, prima di avviare questi blocchi, venne implementato e testato un intero complesso di misure, sviluppate da esperti, per aumentare ulteriormente la sicurezza di questo tipo di centrali; parzialmente per il primo blocco e interamente per il secondo. Questo era il compito principale in quel periodo.

In concomitanza con la preparazione al riavvio del primo e del secondo blocco e con l’esecuzione delle operazioni di accensione, erano in corso i lavori per la costruzione del sarcofago. La scadenza originaria per questa costruzione era prevista per la fine di settembre, ma i vari problemi presentatisi impedirono che questo lavoro venisse completato per tempo. Ma, lo ripeto, questo accadeva perché circostanze impreviste si presentavano costantemente. Vi erano interstizi molto ampi che non riuscivano a trattenere il calcestruzzo, impedendone l’indurimento e rendendo impossibile la messa in opera della base per i successivi elementi costruttivi. C’erano problemi con la selezione del materiale appropriato (questo, tra l’altro, era il compito affidato agli esperti di Kiev, anche loro impiegati verso la fine) in grado di sigillare gli spazi tra i componenti del sarcofago. Era necessario progettare un sistema di ventilazione forzata per il sarcofago in modo che, se non ci fosse stata sufficiente ventilazione naturale, sarebbe stato possibile rimuovere il calore accendendo quello forzato.

Tutti questi problemi vennero gradualmente risolti durante la fase di progettazione e vennero rifiniti durante la costruzione vera e propria del sarcofago sul quarto blocco. La costruzione fu una saga a sé.

Mi ripeterò dicendo che i team di progetto lavoravano sul posto. Il lavoro veniva svolto con l’ausilio di due gru realizzate nella Repubblica Federale Tedesca dalla ditta Demag. Il lavoro principale veniva svolto utilizzando queste gru, ma ancora molti lavori di finitura, che avrebbero aumentato l’affidabilità del sarcofago, dovevano essere eseguiti a mano o utilizzando vari dispositivi robotici. Tuttavia, come ho già detto, i dispositivi robotici che avevamo, fossero essi nostri o acquistati dall’estero, si rivelarono praticamente inutili in quelle condizioni. Diciamo che, anche se i robot avessero avuto un’elettronica sufficientemente affidabile, non avrebbero comunque potuto superare gli ostacoli, che erano il risultato di una grande quantità di macerie del quarto blocco. Questo era il motivo per cui erano inutilizzabili. Anche se, tuttavia, i ricercatori avessero ottenuto robot con una buona capacità di spostamento su tutti i terreni nelle condizioni più difficili, la loro elettronica si sarebbe comunque guastata a causa dell’elevata radiazione gamma e si sarebbero fermati.

Quindi eccoci lì, a cercare di usare i robot per pulire i tetti degli edifici del terzo e quarto blocco, nonché il tetto del reattore, dalla contaminazione radioattiva. Provammo a utilizzare i robot, ma in genere non ebbero molto successo. I migliori dispositivi tecnici erano stati creati da esperti della società statale NIKIMT. Yurchenko Yury Fedorovich era il direttore di questa organizzazione. Lui stesso trascorse molto tempo sul sito e sotto la sua guida i robot vennero creati, testati e utilizzati. Ma, beh, che tipo di robot? Ordinari. Ordinarie ruspe rinforzate da fogli di piombo per proteggere il conducente all’interno. Tali veicoli vennero utilizzati per svolgere la maggior parte dei lavori di decontaminazione nei luoghi più difficili. Le divisioni dell’Esercito vennero utilizzate principalmente per decontaminare vaste aree del territorio attorno alla centrale e gli interni degli edifici della centrale stessa. Lavorarono molto diligentemente, con grande velocità ed efficienza.

Naturalmente, molte cose cambiarono con il passare del tempo, così come le nostre opinioni e i nostri modi di lavorare. Ricordo bene un episodio in cui noi, con il generale Kuncevich, arrivammo a Pripyat. Sembrava che sarebbe stato impossibile decontaminare questa città perché, ovunque si andasse, c’erano livelli molto alti di radiazioni, diciamo, 700-800 milliroentgen all’ora. Questa era l’entità delle dosi che misuravamo con i nostri dispositivi. Ma poi facemmo una cosa: staccammo pezzi di rivestimento da uno degli edifici e li trasportammo da Pripyat a Chernobyl. E si scoprì allora che il rivestimento irradiava 800 milliroentgen all’ora, ma a Chernobyl ne irradiava meno di 10. Quindi divenne chiaro come le fonti di contaminazione non fossero ampiamente diffuse, ma piuttosto c’erano fonti di contaminazione locali a Pripyat che creavano un ambiente generale che faceva sembrare che la decontaminazione non fosse possibile.

Dopo averlo capito, e dopo che gli isotopi più attivi erano già decaduti, quindi principalmente intorno ad agosto-settembre, iniziò un lavoro molto attivo, svolto dalle organizzazioni militari, per decontaminare Pripyat. La città fu considerevolmente decontaminata all’incirca nello stesso periodo in cui la costruzione del sarcofago veniva terminata.

Durante la costruzione del sarcofago risolvemmo il problema di come chiudere le falle. Vennero prese alcune decisioni. Innanzitutto, immergere sacchi di amianto pieni di trucioli di polietilene in soluzioni appropriate – in modo da produrre schiuma – e quindi utilizzare questi sacchi per chiudere le intercapedini sul tetto del sarcofago. Ma anche prima della fine dei lavori sul sarcofago, iniziarono i lavori di verifica delle condizioni dell’attrezzatura nel terzo blocco. Sorse poi la domanda su cosa fare con il quinto e il sesto blocco. Queste erano le questioni che avevamo per le mani.

Intorno all’ottobre 1986 la situazione riguardo alla distribuzione del lavoro era molto chiara. Il Ministero delle Costruzioni di media dimensione stava completando la costruzione del sarcofago, che in seguito venne anche chiamato “rifugio”. I costruttori del Ministero dell’Energia si occuparono della costruzione del villaggio turni a Zelyoniy Mis, di alcuni compiti relativi alla realizzazione di una stazione di decontaminazione all’interno della zona di 30 chilometri e di alcuni lavori sul territorio della centrale stessa. Il Ministero dell’Energia Atomica guidava i lavori sui preparativi per il riavvio del primo e secondo blocco e aveva già iniziato a farsi strada gradualmente nel terzo blocco per valutarne le condizioni. Le divisioni dell’Esercito, insieme alle organizzazioni del Ministero delle Costruzioni di media dimensione, stavano ripulendo i tetti dell’edificio dove si trovavano il terzo e quarto blocco della centrale nucleare di Chernobyl. Le divisioni militari continuavano anche con la decontaminazione dei villaggi che si trovavano all’interno della zona dei 30 chilometri. Il gruppo di ricerca, come ho già detto, aveva così suddiviso i suoi compiti: ricerche all’interno delle macerie del quarto blocco, individuazione del carburante atomico, circoscrizione dello stesso tramite il numero massimo di dispositivi diagnostici.

I dispositivi diagnostici venero inseriti da sotto il quarto blocco. Per le stanze dei gorgogliatori, gli elementi diagnostici vennero invece inseriti attraverso fori praticati nelle pareti laterali che portavano alla sala del reattore. E la maggior parte dei dispositivi diagnostici venne inserita dall’alto, appesa a corde speciali all’interno della sala del reattore.

Allo stesso tempo, un altro gruppo di ricercatori si occupava di un altro compito, nello specifico, lo studio della migrazione dei radionuclidi all’interno della zona di esclusione di 30 chilometri e intorno ad essa. Eravamo preoccupati dalla domanda: quanto in profondità penetrano i radionuclidi dopo essersi depositati in superficie? Come vengono assorbiti? Vennero testate diverse tecniche per l’assorbimento artificiale di radionuclidi sulle superfici. I problemi di impedire ai radionuclidi di entrare nel fiume Pripyat vennero risolti, così come vennero prese misure per impedirgli di penetrare nelle acque sotterranee.

Ebbene, nell’ultima area, i ricevimenti furono piuttosto semplici. Vennero realizzati circa 150 pozzi, sia diagnostici che di servizio. I pozzi diagnostici funzionavano continuamente e misuravano la radioattività delle acque sotterranee e, se necessario, tali pozzi di servizio potevano essere aperti per pompare l’acqua contaminata. Ma fortunatamente, durante tutto il periodo di lavoro, e fino ad oggi, tutti i pozzi diagnostici hanno dimostrato che la falda acquifera è sempre rimasta pulita e i pozzi di servizio non sono mai stati utilizzati.

Ricerche complesse vennero condotte nello stagno di raffreddamento vicino alla centrale nucleare di Chernobyl, dove venne misurata la radioattività dell’acqua, così come nel limo. Molta attenzione venne prestata alle condizioni del fiume Pripyat stesso, il bacino idrico di Kiev. Ma si scoprì molto rapidamente che l’acqua stessa non aveva molta contaminazione, ma il limo invece ne risentiva. La concentrazione di elementi radioattivi nel limo sotto lo stagno di raffreddamento era fino a 5-10 curie, mentre la concentrazione di radioattività nell’acqua non era superiore a 8-10 curie per litro. Questi erano i numeri massimi.

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