I nastri di Legasov - NASTRO 3, LATO A

I nastri di Legasov – NASTRO 3, LATO A

[ << ] – [ INDICE DEI CONTENUTI ] – [ >> ]

Con i miei stessi occhi vidi comandanti di alcuni equipaggi caricare essi stessi i sacchi di sabbia, attaccarli agli elicotteri, volare sull’obiettivo, sganciarli e poi ricominciare poi tutto daccapo. Nei giorni 27 e 28 di aprile, né il Ministero dell’Energia né le autorità locali poterono organizzare in modo completo e preciso i lavori per l’approvvigionamento dei materiali che dovevano essere sganciati nel cratere del reattore. Intorno al 29 finalmente venne organizzato il tutto. Vennero attivate delle cave e finalmente i materiali cominciarono ad arrivare con costanza e le cose ad andare più lisce.

In quei giorni, gli elicotteristi trovarono un metodo molto efficace di operare tramite l’allestimento di un punto di osservazione sul tetto del locale Comitato di Partito di Pripyat. Da lì monitoravano gli equipaggi che volavano sopra il quarto blocco. Devo precisare come questo compito fosse tutt’altro che sicuro, in quanto il pilota era costretto a stazionare sopra il reattore, scaricare carichi molto pesanti e abbandonare velocemente il luogo così da non subire un’eccessiva dose di radiazioni, per quanto la cosa più importante rimanesse la precisione dei lanci.

Tutto ciò era ben coordinato e, se la memoria non m’inganna, i numeri sono i seguenti: decine di tonnellate vennero scaricate il primo giorno, poi centinaia il secondo e terzo giorno. Il maggiore riportò alla riunione serale della Commissione Governativa del terzo giorno di aver scaricato 1100 tonnellate di materiali. Nel complesso, questo rapido ma diligente lavoro da parte degli elicotteristi rappresentò una svolta intorno al 2 maggio. Da quel giorno in poi, la generazione di volume consistente di radionuclidi dal cratere si ridusse. Simultaneamente, i militari continuarono in tutte le necessarie operazioni di ricognizione.

Il lavoro della Commissioni Governativa durante quei giorni fu quello che segue. Di mattina presto, Boris Eudokimovich Shcherbina convocava i membri della commissione. Erano invitati tutti i responsabili delle più disparate operazioni. La riunione solitamente iniziava con il rapporto da parte del Generale Pekalov, il quale illustrava le condizioni di radioattività all’interno della centrale e nelle aree limitrofe. Ovviamente, le condizioni peggioravano di giorno in giorno. Le aree già valutate in precedenza presentavano livelli di radiazione sempre maggiori, e il numero di tali aree andava aumentando. Aumentava perché gli esploratori visitavano aree sempre nuove e, nel mentre, le aree precedentemente visitate continuavano a collezionare ulteriore fallout radioattivo. Complessivamente, la situazione stava diventando talmente complicata che divenne chiaro come la scala delle operazioni andasse ampliata.

I primi sforzi di decontaminazione iniziarono mentre i processi di conglomerazione all’interno del quarto blocco erano in corso. Ma di cosa si trattava di preciso? Ricordo che il futuro Ministro del Ministero delle Costruzioni di media dimensione, il compagno Ryabev – il quale aveva sostituito Meshkov nella commissione – guidò in prima persona tale gruppo di decontaminazione dopo aver ricevuto la ricetta dei composti che solidificandosi creassero i film polimerici in superficie. Organizzò il gruppo in una delle aree industriali di Pripyat in modo da produrre i composti chimici. Allo stesso tempo il gruppo di cui facevo parte, guidato dal compagno Schupak Aleksander Fyodorovich del nostro istituto, studiava modalità per iniettare questi composti nel terreno così da assorbire quanti più radionuclidi mobili fosse possibile, tra i quali il cesio.

Poi intervennero le soluzioni di fosfato. Un gruppo di scienziati da Novosibirsk mi telegrafò che fosse necessario utilizzare più tufo e celite. Organizzammo così la fornitura via treno di questi materiali dai depositi Armeni e della Rutenia Subcarpatica. Utilizzare materiali contenenti celite fu effettivamente benefico, sia immesso nel terreno per contenere i radionuclidi, sia mescolato nei corpi delle dighe che si stavano costruendo su fiumi piccoli e grandi.

Devo dire che, naturalmente, furono fatte anche molte cose prive di senso nel corso di questo lavoro. Non tutti i progressi dei lavori venivano documentati, che fossero stati completati o meno. I comandi venivano impartiti; tuttavia, i controlli sulla precisione con cui venivano eseguiti venivano spesse volte ritardati. Ad esempio, quando dopo un po’ di tempo visitai il sito, scoprii che i radioassorbenti erano stati semplicemente versati nella rete fognaria quando sarebbe stato meglio organizzare una sorta di pallet che potessero essere rapidamente sostituiti dopo che i radioassorbenti si fossero saturati di radionuclidi. Lev Alekseyevich Voronin, al vertice del Commissione Governativa in quel periodo, mi comprese velocemente. Mi disse di aver impartito ordini appropriati, anche se credo che non vennero mai eseguiti realmente.

Inoltre, le variazioni intermittenti nella composizione del Comitato Governativo portavano a un costante cambiamento dei piani di lavoro. Una formazione ordinava via treno determinati materiali, quello seguente ne ordinava altri. Questo creava solo una saturazione inutile di convogli ferroviari sulla rete di trasporto.

Cominciarono a sorgere problemi logistici, così venne creato un registro. In base ad esso, tutti i materiali che erano stati testati sarebbero stati utilizzati dall’Esercito per l’uso nelle attività di decontaminazione. D’altro canto, i materiali che necessitavano di test venivano inviati al dipartimento del Ministero delle Costruzioni di media dimensione, il quale era tenuto a testarli e creare un rapporto, dopodiché potevano essere forniti all’Esercito per l’uso su larga scala.

Vennero utilizzati molti materiali: i nostri, sovietici ma, in generale, alla fine, tutto si riduceva al fatto che la misura più efficace fosse la soppressione delle polveri, che nella maggior parte delle aree contaminate significava semplicemente la rimozione meccanica dei detriti più contaminati. Questa rimozione meccanica veniva eseguita anche da robot acquistati, ad esempio, dalla Repubblica Federale Tedesca. Tuttavia, l’uso dei robot non ebbe successo perché tutti quelli testati inizialmente non erano meccanicamente in grado di operare tra i rottami, o semplicemente non potevano superare gli ostacoli su grandi superfici irregolari.

Anche in presenza di superfici regolari, ma contaminate da grandi quantità di radiazioni, le loro elettroniche – solitamente i moduli di controllo – si guastavano, rendendoli inoperativi. Ecco perché alla fine il metodo più efficace fu quello di utilizzare bulldozer radiocomandati oppure ruspe, i nostri veicoli ordinari, le quali cabine venivano ricoperte di piombo per proteggere l’operatore. Durante le prime fasi, la modalità più efficace di usare veicoli tradizionali dotati di protezioni per gli operatori consentì di raccogliere e smaltire i detriti più contaminati e tutte le contaminazioni più pericolose.

L’operazione successiva fu quella di applicare uno strato al terreno già bonificato e cementarlo. Questo venne fatto. Potenti aspiratori venivano utilizzati prima della cementificazione; questo rimosse parecchia polvere contaminante. Nonostante ciò, l’operazione non sembrò più di tanto efficace. Fu allora che intervennero le soluzioni chimiche. Quelle più interessanti vennero proposte da Viktor Aleksandrovic Kabanov, testate preliminarmente nelle regioni dell’Asia Centrale soggette a tempeste di polvere. Queste soluzioni avevano lo scopo di legare insieme le particelle di polvere, ma allo stesso tempo lasciar passare l’umidità, permettendo così al sottosuolo di esistere normalmente. Tutte le soluzioni che abbiamo testato sembravano avere successo. Kabanov, con l’aiuto dei capi del Ministero dell’Industria Chimica, riuscì ad organizzare a Dzerzhinsk la produzione sufficiente alle nostre esigenze. Queste soluzioni vennero ampiamente utilizzate. Anche i metodi di pulizia più banali ebbero un grande effetto: pulizia regolare delle strade, allestimento di punti per la decontaminazione di veicoli e persone – tutto questo divenne sempre più organizzato e sofisticato con il passare del tempo.

Già in precedenza ho iniziato a raccontare come fosse organizzato il lavoro della Commissione Governativa. Le attività cominciavano molto presto; intorno alle sette o alle otto del mattino, aveva luogo la prima riunione guidata dal presidente. Venivano, in primis, segnalate le condizioni dosimetriche nelle varie parti del distretto. Gli incarichi venivano poi assegnati e quelli completati controllati. Dopo tutto questo, gli specialisti iniziavano a lavorare sui compiti loro assegnatigli e, in tarda serata – almeno quando Shcherbina era presidente, verso le dieci di sera – se ne faceva un resoconto. Venivano valutate le condizioni delle radiazioni, lo stato dei lavori di costruzione della diga, la costruzione dei pozzi, l’acquisizione di attrezzature e veicoli appropriati, la costruzione del sarcofago: tutte queste informazioni venivano condivise e le decisioni operative venivano prese immediatamente. Regolarmente, più volte al giorno, i leader della Commissione Governativa riportavano ai compagni Dolgikh Vladimir Ivanovich e Rizhkov Nikolai Ivanovich. Tutto questo era quotidianamente obbligatorio.

Dopo l’arrivo di Rizhkov e Ligachev sul sito, come ho già detto ma mi ripeterò, venne ricomposta la Commissione Governativa originale. Venne annunciato che sarebbe stata una commissione permanente, sostituita ciclicamente da seconde linee. Tuttavia, Sidorenko e io rimanemmo indietro per finire il lavoro di decontaminazione, inoltre Sidorenko continuò a indagare sul ruolo del Gosatomenergonadzor (Comitato statale dell’URSS per la supervisione della sicurezza sul lavoro nell’Energia Atomica) su ciò che era successo e quello che stava succedendo al momento.

Nella tarda notte del 4 maggio, quando la Commissione era già guidata da Ivan Stepanovich Silaev, un uomo molto calmo che stava approcciando al suo lavoro molto seriamente, mi chiamò. A quanto pareva, ero stato convocato a Mosca per partecipare all’incontro del politburo che si sarebbe svolto il 5 maggio. Presi il primo volo disponibile.

Quando arrivai all’Istituto mi lavarono e mi pulirono il più possibile. Poi passai a casa, incontrai mia moglie, che ovviamente era molto turbata, e alle dieci arrivai infine al politburo, dove a turno riferii a Shcherbina e al compagno Ryzhkov di ciò che stava accadendo. Il presidente del politburo, Gorbachev, mi avvertii che, in quella fase, non era interessato alla colpevolezza e alla causalità dell’incidente. Era interessato allo stato attuale del lavoro e alle misure richieste dal governo per risolvere più rapidamente la situazione.

Alla fine della riunione del politburo, Gorbaciov si rivolse dio solo sa a chi, a quanto pare ai ministri Breznev e Chazov che erano presenti alla riunione, chiedendo loro di tornare sul posto e continuare il lavoro. Dopo l’incontro, mi recai presso l’ufficio di Shcherbina e gli chiesi se questa richiesta fosse rivolta anche a me, o se dovessi restare qui a Mosca con la rinnovata Commissione per continuare il mio lavoro. Rispose: “Sì, rimarrai qui e continuerai il tuo lavoro”. Così mi recai all’Istituto; prima di arrivare, il mio telefono in macchina squillò e uno dei subordinati di Shcherbina mi disse che su richiesta di Silaev al segretario generale dovevo tornare a Chernobyl perché le azioni unilaterali di Velikhov stavano, per alcuni ragioni, preoccupando Ivan Stepanovich. Quindi lo stesso giorno alle 16:00 volai via da Chkalovsk e ancora una volta arrivai a Chernobyl dove continuare il mio lavoro.

Il lavoro procedette come pianificato in precedenza su tre fronti diversi. Il primo, monitorare lo stato del quarto blocco, in quanto lo scarico dei materiali era ormai completato: varie sonde erano state posizionate al suo interno, grazie alle quali temperatura, intensità di radiazione e movimento dei radionuclidi potevano essere misurati; in secondo luogo, la pulizia dell’area della centrale stessa; infine la costruzione di un tunnel al di sotto delle fondamenta del quarto blocco e la creazione di una zona di esclusione di 30 chilometri con relativa prosecuzione della rilevazione dosimetrica e di decontaminazione.

A questo punto, sia l’Esercito che le organizzazioni regionali avevano allocato costruttori edili per la costruzione di villaggi nei quali gli evacuati potessero vivere. Si trattava di un compito enorme che prevedeva la movimentazione di grandi masse di individui, la creazione di sistemi di controllo e una veloce pianificazione di logistica e attività.

Intorno al 9 maggio sembrò che il quarto blocco avesse smesso di vivere, respirare, bruciare. Tutto sembrava calmo ed eravamo pronti a celebrare solennemente il nostro Giorno della Vittoria durante la tarda sarata del 9 settembre. Sfortunatamente quel giorno venne invece scoperta una piccola ma molto luminosa macchia cremisi all’interno del quarto blocco. Era la prova che le temperature in realtà erano ancora alte. Difficile dire se si trattasse per esempio dei paracadute utilizzati per far cadere il piombo e altri materiali dal cielo. Secondo me era improbabile. Molto probabilmente si trattava di una massa calda – lo confermai in seguito – una massa di sabbia, argilla e tutte le altre cose che erano state fatte cadere. Eravamo ovviamente sconvolti. I festeggiamenti del 9 maggio vennero rovinati e decidemmo di far cadere altre 80 tonnellate di piombo all’interno del cratere. Dopodiché, il bagliore si fermò e la festività del 9 maggio venne celebrata il 10 in un’atmosfera calma e normale.

Non posso non menzionare l’enorme ruolo svolto dal maresciallo Aganov insieme alle sue truppe di ingegneria. Ogni volta che c’era bisogno per esempio di posare un tubo, era necessario praticare dei fori. Ogni volta che avevamo bisogno di un buco, essi facevano i calcoli prima di usare strumenti di ingegneria militare – vale a dire una pistola del calibro appropriato – perché c’era il rischio che l’intera struttura crollasse. Era imperativo eseguire stime e calcoli corretti. Tutto questo lavoro veniva svolto dal maresciallo Aganov e dal suo team con eccellente precisione e buona organizzazione.

Anche allora, in quei giorni difficili, nonostante tutto eravamo – può sembrare paradossale – di buon umore. Non perché stessimo partecipando alla liquidazione delle conseguenze di un evento così tragico. La tragedia, ovviamente, era lo sfondo principale dietro il quale tutto stava accadendo. Ciò che causava il buon umore era il modo in cui la gente lavorava; quanto velocemente rispondesse alle nostre richieste, quanto velocemente venissero valutati vari scenari ingegneristici. Avevamo già cominciato, sul posto, a considerare le prime opzioni per costruire una cupola sul blocco distrutto. Più tardi, quel lavoro fu affidato al compagno Batalin, vicepresidente del Consiglio dei Ministri, che prese la direzione del progetto di costruzione nelle sue mani. Successivamente la costruzione stessa venne assegnata al Ministero delle Costruzioni di media dimensione.

Intorno al 9-10 maggio, Gorbachev in una chiamata telefonica mi chiese personalmente di fornirgli una sorta di ricostruzione cronologica degli eventi, una descrizione puntuale di ciò che era successo, in quanto si stava preparando a parlare in TV all’intera Unione Sovietica. Iniziai quindi a preparare una nota nella quale descrivere tutto ciò che era noto al tempo: come gli eventi si fossero sviluppati, come la distruzione del quarto blocco avesse avuto luogo, quali azioni fossero state intraprese e quali fossero ancora da effettuarsi. La feci pervenire a Velikhov and Silaev: il primo non aggiunse nulla alla nota, mentre il secondo aggiunse alcuni spunti organizzativi. Dopodiché, tutti e tre firmammo il documento e lo inviammo a Gorbachev. Venne usato parzialmente in… [registrazione danneggiata].

…Suppongo che quello che sto dicendo sia che l’Istituto, per la prima volta, fosse riuscito a mettere insieme un gruppo di esperti che considerasse l’energia nucleare come un sistema, tutti i cui elementi dovrebbero essere ugualmente efficienti, sicuri e affidabili; a seconda delle dimensioni dell’uno o dell’altro elemento del sistema, la qualità dell’intero sistema energetico nucleare dovrebbe essere più o meno ottimale.

Questo lavoro è ancora oggi solo all’inizio. Ho sempre pensato che fosse questo l’approccio corretto. Abbiamo definito, insieme alla Commissione per l’Energia guidata da Anatoly Petrovich, quale percentuale di energia debba provenire sotto forma di energia nucleare per ogni determinato compito. Successivamente, valutare quale tipo di energia debba essere sostituita con l’energia nucleare, quindi valutare quali regioni siano le più appropriate per questo, quindi definire i requisiti per i dispositivi che si adattino in modo ottimale ai compiti derivanti dal bilancio energetico e di combustibile della nazione. Poi, dopo aver selezionato i dispositivi appropriati, ingegnerizzarli per conformarli a tutti gli standard di sicurezza internazionali.

Queste erano le domande che mi ponevo…. beh… di cui mi occupai, almeno durante l’esposizione del problema e nello sviluppo di questi lavori. Cominciò tutto abbastanza bene. Ma con la malattia di Aleksander Sergeyevich Kochinov e dopo gli eventi successivi, tutto cambiò. Oggi, ancora una volta, viene utilizzato esclusivamente un approccio ingegneristico quando un dispositivo viene confrontato con un altro. Ogni specialista che inventa un aggiornamento per un sistema esistente o un sistema completamente nuovo deve dimostrare i vantaggi di tale innovazione. Non esiste un sistema di valutazione standardizzato. Forse qualcuno sta cercando di crearlo ora. Negli ultimi mesi non so cosa stia succedendo perché dopo aver formato il gruppo sono stato escluso da questo lavoro. È difficile per me dire cosa stia succedendo. Alla fine della fiera, questo gruppo è composto da specialisti intelligenti: forse tutto andrà a posto da sé, col tempo.

Nei giorni dell’incidente, per esempio alla riunione del 14 giugno, Nikolai Ivanovich Ryzhkov riferì che il disastro non gli sembrava accidentale e che l’energia atomica con un certo grado di inevitabilità porta sempre a tali tragici eventi. Rimasi colpito dall’accuratezza di tali parole. Sebbene non fossi stato in grado di descrivere il problema in tale modo, egli ci riuscì.

In effetti di casi anomali ve n’erano stati diversi. Per esempio, alla Centrale Nucleare di Kola, quando costruirono una delle condutture principali – quelle più importante – lo fecero in modo tale che i saldatori, invece di saldare normalmente, si limitassero a inserire un elettrodo all’interno, effettuando solo una leggera saldatura dall’esterno. Questo avrebbe potuto comportare un terribile disastro – la rottura di tubature in pressione fondamentali in un impianto nucleare raffreddato ad acqua. Si tratta dello scenario peggiore, quello in cui si presenta la totale perdita del refrigerante e il meltdown del nucleo. Fortunatamente mi venne riferito dal direttore della centrale di Kola Volkov Aleksander Petrovich che il personale fosse addestrato in modo appropriato e che fosse particolarmente cauto. Un operatore aveva notato a occhio nudo una frattura nel metallo delle condutture nonostante non fosse di facile individuazione. Malgrado il grande rumore e l’ambiente non propriamente felice, l’operatore era riuscito a individuare la crepa su uno dei cordoni di saldatura principali. Fu così che venne avviata un’indagine che appurò la pochezza qualitativa del lavoro. Alle condutture principali non era stato garantito un livello qualitativo adeguato. Venne verificata la documentazione dei lavori, nella quale ovviamente tutte le firme erano al loro posto. Durante le verifiche saltò fuori non solo che il saldatore avesse firmato una conformità nel lavoro di saldatura, persino di saldature che neppure esistevano. Ovviamente, tutto questo era stato fatto in nome della produttività. Tutto questo fu negativamente sbalorditivo.

Questi aspetti vennero ricontrollati in altre centrali – stessi punti critici, stessi cordoni di saldatura – e non tutto risultò perfetto. Frequenti arresti operativi, frequenti fratture all’interno di strutture cruciali, malfunzionamenti alle saracinesche e ai canali all’interno di reattori RMBK – e questo anno dopo anno. Una decade di discussioni sulle simulazioni, le quali sono incrementalmente effettive e ormai abituali nell’Ovest, e in Unione Sovietica ancora non ne disponiamo. Per almeno cinque anni c’erano state fitte discussioni in merito alla creazione di sistemi diagnostici per le apparecchiature più critiche, ma nulla alla fine è mai stato fatto.

Mi ricordo che la qualità degli ingegneri e di altro personale delle centrali era in forte calo. Inoltre, ogni personale che si era trovata in un cantiere di costruzione di una centrale nucleare era sorpresa dalla mancanza di cura del lavoro svolto, seppure nell’ambito di un progetto così critico e importante. Tutte queste perplessità erano nelle nostre teste come singoli episodi, ma quando Ryzhkov suggerì che la tecnologia nucleare fosse predestinata, l’immagine complessiva, il prodotto di anni di episodi, mi si formò davanti gli occhi. Mi ricordo di esperti del mio stesso istituto a conoscenza di quanto accadeva durante la costruzione degli impianti. Mi ricordo inoltre delle strane preoccupazioni del Ministero. Non c’era un leader che ci guidasse, semmai c’erano leader che stavano solo facendo quadrare i conti, guadagnare denaro, fornire informazioni ai livelli superiori, inviare persone a inaugurazioni o altro.

Per come mi ricordo, non c’è tutt’ora una singola persona, o un gruppo, che conduca un lavoro serio di analisi della situazione nell’industria dell’energia atomica – in merito a come cambiare le linee guida di costruzione delle centrali, di fornire attrezzature – nonostante il presentarsi di tutti questi singoli episodi. Per esempio, la lotta lunga anni di Viktor Alekseyevich Sidorenko, il quale era supportato dall’accademico Aleksandrov, risultò nella risoluzione governativa della creazione dell’ente di supervisione della condotta sicura dei lavori in ambito atomico (Gosatomenergonadzor), i rappresentanti del quale ente avrebbero dovuto presidiare ogni centrale ed ogni impresa fornitrice di impiantistica critica per tali impianti. Questi rappresentanti avrebbero dovuto fornire le autorizzazioni a operare o meno in base alla qualità complessiva e di dettaglio. Il Gosatomenergonadzor avrebbe dovuto ripensare in modo critico la documentazione regolatoria e migliorarla, nonché verificare che tutte le linee guida fossero adottate. Apparentemente il problema sembrava risolto, ma risolto in modo strano.

Vedete, similmente a questo controllo qualitativo statale, apparve nel tempo un gran numero di “specialisti” non coinvolti in attività ingegneristiche e scientifiche. Si riunivano e si spartivano alloggi e impieghi. Come è evidente dal disastro di Chernobyl, questa sovrastruttura organizzativa non migliorò affatto lo stato dell’industria dell’energia nucleare, molto semplicemente perché la sua autorità non era chiaramente definita. I requisiti da loro creati non erano ideali per rendere l’energia nucleare più sicura, ma piuttosto erano figli dalla situazione in essere e di alcune singole esperienze occidentali. Si trattava di una sorta di combinazione dell’esperienza occidentale con la nostra, ma con il livello di costruzioni industriali dell’Unione Sovietica, la quale non poteva rispettare determinati requisiti. Questo lasciava l’impressione di una sorta di immagine eclettica, non coerente, non complessa.

Molti regolamenti, requisiti e regole erano complicati e molto confusi, persino contraddittori in alcune parti. Forse, a colpo d’occhio, per capire una contraddizione bisognava fare un lavoro aggiuntivo. A logica, le nozioni sarebbero state archiviate in un singolo personal computer, su uno o due dischi posizionati accanto all’operatore, così che in qualunque momento avesse la possibilità di chiarire qualsiasi questione. Nella realtà, era tutto archiviato su vecchi libri usati. L’operatore doveva andare a cercarsele. Tutto questo era piuttosto miserabile, ma pareva che questa miseria venisse riconosciuta da pochi, dati i miei pochissimi sostenitori.

Una volta mi era finito tra le mani un magazine intitolato “Business Week”. Era, credo, il 1985. In esso vi era un articolo che criticava i francesi per la loro cooperazione attiva (o meglio, un tentativo) con l’Unione Sovietica nel campo della tecnologia atomica. Nel merito, si parlava di un accordo per il quale noi avremmo incrementato le forniture di gas naturale, mentre loro ci avrebbero fornito tecnologia: robot per le riparazioni e le operazioni di carico/scarico, sistemi diagnostici, una serie di componenti per ammodernare il settore delle costruzioni e la gestione dei reattori. L’autore dell’articolo, un americano, criticava i francesi, sostenendo che non avrebbero dovuto accordarsi per questioni politiche ed economiche. L’articolo diceva con precisione che l’Unione Sovietica aveva sì sviluppato i fondamenti fisici dell’energia nucleare allo stesso livello del resto del mondo, ma il divario tecnologico nell’implementazione di tali fondamenti era enorme, e i francesi non avrebbero dovuto aiutarci a colmarlo.

Sotto l’articolo c’era un’illustrazione schifosa nella quale, di fronte a una torre di raffreddamento mezza diroccata, un baffuto giovanotto francese tentava di spiegare a un orso russo come costruire queste torri, mentre l’orso si infilava un dito in bocca senza comprendere quanto la qualità delle torri fosse essenziale per quella complessiva di una centrale. Si trattava di una illustrazione davvero cattiva. Ricordo di averla mostrata in giro, quella caricatura, mostrandola a Meshkov, Slavsky, Aleksandrov, presentando la cosa come fosse molto seria. La questione verteva sul divario tra i concetti fisici e su come un reattore dovesse essere, nonché sulla bassa qualità del combustibile atomico e sull’intero ventaglio delle operazioni tecnologiche, molte delle quali parevano insignificanti ma che venivano effettuate nelle nostre centrali.

Vedete, non trovai comprensione da nessuna parte. Piuttosto, Alexandrov interpellò Kokoshin, il vicedirettore dell’Istituto russo per gli Studi Usa e Canada (un interessante giovane uomo con un dottorato in materia) e gli chiese di scrivere un contro-articolo per smentire l’autore, per spiegare come le cose non fossero come venivano descritte, come l’Energia Atomica sovietica fosse parte dell’Occidente eccetera eccetera. Tuttavia, quell’articolo americano affermava che, sebbene l’industria nucleare sovietica in termini di capacità di input non fosse a livello mondiale, i concetti di reattore adottati in Unione Sovietica fossero altresì fisicamente corretti e solidi e che gli specialisti nella costruzione di reattori sovietici fossero validi. Comunque, il supporto tecnologico a questo complesso ciclo era obsoleto. Questo spiega perché sia necessario molto staff per gestire le nostre centrali. Ci sono attrezzature troppo scarse, troppe imprecisioni nei sistemi operativi a supporto delle centrali. Questo era indubbiamente vero, ma ciononostante Anatoly Petrovich insistette perché Kokoshin scrivesse l’articolo per smentire questi aspetti. Fortunatamente, Kokoshin fu sufficientemente saggio – o non ebbe sufficiente tempo – tant’è che non scrisse l’articolo. Se l’avesse fatto, sarebbe stato pubblicato, ironicamente, durante i giorni di Chernobyl.

Voglio enfatizzare come forse fossi l’unico, tra le persone con cui parlai, che accusava acutamente queste preoccupazioni. Altri, possibilmente a conoscenza della situazione delle centrali, erano relativamente tranquilli in merito. Una volta sentii Ponomaryev-Stepnoy Nikolai Nikolaevich (al tempo vicedirettore dell’Energia Atomica, ora direttore). Stava lavorando a un reattore ad alta temperatura raffreddato a Elio, quello che consideravamo il reattore con le migliori capacità tecnologiche per la nostra economia. Presentando alte temperature, potevamo utilizzarlo in metallurgia, in chimica e raffinazione di idrocarburi. Non lo consideravamo come un competitor dell’energia atomica, semmai un elemento addizionale ad essa. Lui mi disse che a suo avviso i reattori RBMK fossero molto pericolosi. Ed era vero. Così, in tal senso, andava visto come un’alternativa alla produzione di energia odierna.

Fu così che sentii per la prima volta dalle persone “del reattore” parlare di cose serie in modo calmo e concreto, come la nostra moderna energia nucleare basata su VVER e RBMK fosse pericolosa e richiedesse l’adozione di ulteriori, serie misure di sicurezza. Com’è nella mia natura, iniziai a fare ricerche su questa domanda e ad essere più attivo in determinate situazioni, per parlare della necessità della prossima generazione di reattori nell’essere più sicuri; diciamo reattori TTER o reattori a sale liquido che stavo cercando di presentare come i prossimi passi verso reattori più sicuri. Ma questo causò una tempesta al Ministero. Una tempesta di indignazione. Soprattutto dal ministro Slavsky che batté letteralmente i piedi, affermando come queste cose fossero diverse, che fossi un analfabeta, che imparassi a badare ai fatti miei e che fosse sbagliato confrontare un reattore con un altro di tipo diverso. Era un ambiente difficile.

Lentamente, il lavoro progredì su reattori alternativi. Lentamente, aggiornammo i reattori esistenti. Ma purtroppo, nessuna analisi scientifica adeguata della situazione reale ebbe luogo per analizzare tutti i possibili problemi e trovare modi per evitarli. Provai ad allestire un laboratorio di misure di sicurezza. Successivamente entrai a far parte del Dipartimento per la Sicurezza dell’Energia Nucleare. Ma da quando Sidorenko venne incaricato di questo laboratorio (l’intero dipartimento), tutto venne indirizzato verso lo sviluppo di documenti, procedure e standard per migliorare le cose sulle centrali nucleari esistenti. E non si arrivava mai a una teoria seria, a un’analisi seria, a strategie serie, il che, tutto sommato, era piuttosto allarmante.

Più centrali nucleari venivano costruite, più reale diventava il pericolo che nel tempo qualcosa accadesse. La gente aveva iniziato ad avvertirlo. Ma la lotta contro questi pericoli veniva combattuta caso per caso. Diciamo che un generatore di vapore si guasta in qualche centrale e ci si domandi come cambiarne il design e, naturalmente, a trovare una soluzione che migliori la situazione. Poi succede qualcos’altro. Un canale RBMK scoppia, quindi iniziano a ricercare il motivo per cui è successo; è colpa dello zirconio, dello stato operativo o di qualcos’altro? E migliora la qualità dello zirconio prodotto, così come dei tubi che ne derivano, oppure migliorano gli stati di funzionamento, e tutti si calmano fino a quando non succede un nuovo episodio.

Mi sembrava che questo non fosse l’approccio scientifico adatto per risolvere i problemi legati alla sicurezza dell’energia nucleare. Ma poiché la mia occupazione professionale era in un’area diversa, ero un osservatore che integrava tutte queste informazioni che era del tutto impossibile discutere al Ministero; erano abituati ad avere discussioni ingegneristiche molto specifiche, come sostituire un tipo di acciaio con un altro, come modificare un sistema tecnologico, ecco perché. Tutti i discorsi concettuali, tutti i tentativi di adottare un approccio scientifico e coerente a questo problema, ma senza alcun effetto. Ecco come si stava sviluppando la situazione prima degli eventi di Chernobyl.

Anche questo era visibile nelle centrali. Rimasi particolarmente deluso dopo averne visitate diverse in occidente. Soprattutto dopo aver visitato la Centrale di Loviisa in Finlandia, costruita secondo i nostri principi; era fondamentalmente un nostro impianto, solo costruito da costruttori finlandesi. La differenza stava nel fatto che avessero scartato tutti i nostri sistemi di controllo automatici e avessero inserito quelli canadesi. Alcuni strumenti tecnologici erano stati sostituiti con strumenti svedesi o propri, e il nostro era stato messo fuori servizio. Le procedure stabilite in questa centrale erano nettamente diverse dalle nostre: a partire dall’ingresso della centrale, la sua segnaletica esterna, la formazione del personale. Questo impianto disponeva di un vero e proprio simulatore di addestramento in cui tutti dovevano sottoporsi a un regolare addestramento e venivano simulate le varie situazioni che potessero verificarsi in un reattore.

Rimasi colpito dal momento in cui assistetti a un rifornimento di questa centrale. Fu molto interessante: il personale della stazione era composto da 45 persone, se ricordo bene, che dovevano pianificare l’operazione di ricarica; cioè avevano previsto chi, delle persone che non lavoravano alla centrale, doveva partecipare alla ricarica. Selezionarono le persone, concordarono le tempistiche, organizzarono gli strumenti necessari e decisero la sequenza di esecuzione della procedura. Questa preparazione molto accurata per la procedura di rifornimento richiese circa sei mesi. Ma il rifornimento stesso richiese solo una ventina di giorni, mentre da noi ci vuole circa un mese e mezzo, a volte fino a due mesi. Il personale operativo è però notevolmente inferiore a quello delle nostre centrali. La pulizia esterna del sito, il numero di apparecchiature nei laboratori: tutto questo differiva in modo sorprendente dalle nostre centrali in Unione Sovietica.

Vorrei parlare anche dei sistemi amministrativi. Ho già citato in precedenza come fosse strutturato il nostro settore dell’energia nucleare: il nostro Ministero dell’Energia con i suoi direttori, il Ministero delle Costruzioni di media dimensione con i suoi direttori, l’ingegnere capo, il supervisore scientifico. Qualsiasi esperto di qualsiasi livello (dal supervisore di laboratorio al direttore dell’istituto) poteva richiedere informazioni, interferire nel lavoro di una centrale, scrivere relazioni, proporre qualcosa. C’erano innumerevoli consigli di settore in cui si discuteva qualcosa. E tutto questo non era molto coerente, non ordinato e non si presentava come un processo di lavoro unificato e regolare. Invece ogni volta era una risposta a qualche proposta tecnica, ora qualche incidente, o a qualche situazione pre-incidente. Ciò lasciava un’impressione di disordine e un fastidio diffuso verso il lavoro disorganizzato nel campo dell’energia nucleare.

Questo, tra l’altro, mi infastidiva particolarmente, perché le mie funzioni come membro della Commissione per l’Energia erano di determinare il tasso di attivazione delle centrali nucleari, la cronologia dei compiti e la struttura dell’energia nucleare. Tutte queste erano domande potenziali. Per quanto riguarda le attività ordinarie, venni coinvolto solo indirettamente perché non era la mia specialità. Tuttavia, più apprendevo cosa stesse succedendo lì, più diventavo ansioso. E quando Nikolai Ivanovich Rizhkov in una riunione del politburo pronunciò le sue parole su come l’energia nucleare si stesse inevitabilmente muovendo verso un grave incidente, immediatamente tutti questi fatti, accumulati in molti anni, in qualche modo si allinearono nella mia mente, e le sue parole assunsero profonda validità.

In generale, tutti gli esperti, gli scienziati, almeno in tempi diversi e da piattaforme diverse, parlando di singole parti, affermarono che fossimo sulla strada di un brutto incidente; lo disse Anatoly Pavlovich Aleksandrov, citando ripetutamente esempi eclatanti di disattenzione nella costruzione di centrali nucleari; lo disse Sidorenko, parlando di disordini operativi e di documentazione; lo dissero giovani specialisti; lo dissero scienziati dei materiali.

Un problema imprevisto si verificò, ad esempio, col carburante atomico della centrale finlandese Loviisa. Emerse che l’alloggiamento del reattore potesse durare per 30-40 anni secondo i parametri del progetto, ma realmente potesse farlo per un tempo sostanzialmente inferiore. Immediatamente iniziarono delle ricerche disperate, le quali condussero a proposte su come affrontare la situazione e prolungare la vita dell’alloggiamento del reattore.

[ > NASTRO 3, LATO B ] – [ LASCIA UN COMMENTO ]

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza:
Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.