I nastri di Legasov - NASTRO 1, LATO B

I nastri di Legasov – NASTRO 1, LATO B

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Il 2 maggio la Commissione Governativa si trovava ancora a Chernobyl. Nikolay Ivanovich Ryzhkov e Egor Kuzmich Ligachev arrivarono alla zona di esclusione e il loro arrivo ebbe un grande significato. Un giorno prima la Commissione Governativa aveva deciso di continuare l’evacuazione dall’area entro i 30 chilometri di raggio dalla centrale di Chernobyl. Tale decisione era basata sulla previsione della diffusione della radioattività e dall’analisi della situazione attuale alla vigilia del 2 maggio.

Dopo l’arrivo dei nostri ospiti di alto profilo, essi decisero deliberatamente di iniziare la loro visita a partire dai luoghi dove era avvenuta l’evacuazione. Quindi, il 2 maggio presero parte alla riunione che si tenne presso la sede del Comitato di Partito di Chernobyl in presenza del compagno Scherbicky, il quale si trovava in loco per la prima volta. Prima di tutto ciò, l’intero governo Ucraino era stato rappresentato con successo dal parlamentare Nikolaev. Si trattò di una riunione particolarmente importante. Innanzitutto, grazie ai nostri rapporti (e io ero una delle fonti), essi capirono la situazione, capirono che non si trattava di un mediocre incidente, bensì di uno di larga scala che avrebbe avuto conseguenze di lungo termine, che un enorme quantità di lavoro sarebbe stato ancora necessario per continuare la messa in sicurezza del quarto blocco così come per decontaminare l’area e per costruire il sarcofago attorno all’edificio danneggiato. Un censimento della situazione era altrettanto necessario, assieme a una valutazione della riattivazione del primo, del secondo e del terzo blocco e a quella per l’eventuale proseguimento della costruzione del quinto e del sesto blocco. Queste furono le domande che emersero. Era stato inoltre notato un aumento dei livelli di radiazione a Kiev e in altre città che erano abbastanza distanti da Chernobyl.

I membri del partito e del governo erano abbastanza preoccupati in merito a tutto ciò, motivo per cui vennero di persona a risolvere queste questioni sul posto. Dopo avergli descritto la situazione, vennero prese le decisioni cardinali. Tali decisioni determinarono l’intero ordine di organizzazione del lavoro per il resto del tempo. Anche la sua scala, così come lo percepirono tutte le organizzazioni e il governo stesso.

Venne così creato il gruppo operativo guidato da Nikolai Ivanovich Ryzhkov, nel quale quasi l’intera industria Sovietica venne messa a disposizione della gestione del disastro.

La Commissione Governativa divenne solo un meccanismo di gestione per tale sforzo governativo: questo avvenne sotto il controllo del Gruppo Operativo del CCCPSU. Il gruppo teneva riunioni ricorrenti nel quale veniva aggiornato sui livelli di radiazioni e su tutti gli avanzamenti sugli incarichi in corso. In altre parole, non c’era alcun piccolo o grande evento che conoscessi in merito al quale il gruppo operativo politico non fosse al corrente. Escludendo Nikolai Ivanovich Rizhkov, il gruppo operativo era composto da Yegor Kuzmich Ligachev, dai compagni Scherbikov, Vorotnikov, Vlasov, il ministro per gli affari esteri, Vladimir Ivanovich Dolgikh, nonché il segretario del CCCPSU che, a nome del Comitato Centrale, supervisionava tutti gli eventi eseguiti all’interno del ChNPP e nell’energia atomica nel suo insieme. Avevo l’impressione che riuscisse a provvedere ai sui compiti senza accantonare quelli legati al suo ruolo.

Devo dire che nelle diverse occasioni in cui partecipai alle riunioni del Gruppo Operativo, tali incontri vennero gestiti con molta calma e in una modalità molto conservativa. I partecipanti tentavano più possibile di basare le loro decisioni in conseguenza di quello degli specialisti. Comunque, mettevano anche a paragone le opinioni di più specialisti. Riassumendo, per me questo rappresentava un processo operativo corretto. Vedete, non potevo nemmeno presumere che il Gruppo Operativo avrebbe preso decisioni intenzionali così decise.  Queste decisioni erano mirate esclusivamente a gestire la situazione più rapidamente possibile, riducendo così le conseguenze. Il lavoro era come quello di una squadra scientifica ben organizzata.

Innanzitutto, venivano studiate con molta attenzione le informazioni disponibili, preferibilmente quando ottenute da fonti diverse, laddove si fossero presentati casi in cui i militari ne avessero fornite dissimili da quelle civili. Fu il caso delle esplosioni radioattive del quarto blocco: diversi servizi avevano fornito informazioni differenti nelle prime fasi della messa in sicurezza.

Ulteriore esempio, in giugno differenti gruppi fornirono differenti stime della radioattività emessa dal quarto blocco. In un altro, l’Istituto GeoChem fornì un rapporto approvato dall’accademico Velikhov, il quale era basato sulle loro misurazioni per le quali il 50% dei contenuti del reattore sarebbero stati espulsi dal reattore e oltre i confini della centrale di Chernobyl. Avevano stimato una colossale area di contaminazione da plutonio sul territorio dell’Unione Sovietica.

Il secondo gruppo di specialisti – il quale stava lavorando sulle indicazioni di Lev Dmitrievich Ryabev ed era composto dal personale dell’Istituto Radiologico del Ministero delle Costruzioni di media dimensione – misurava l’attività solo in alcuni punti idro-fisici attorno alla centrale, e stimava l’espulsione di materiale in base all’attività all’interno dei loro punti di rilevazione. Ovviamente, questo era un errore. L’auto-assorbimento non era stato considerato, così come molti altri fattori. Tuttavia, a giudicare da questa visione generale di base, avevano anche concluso che circa la metà del carburante era all’interno del reattore e l’altra metà era effettivamente stata espulsa.

Infine, un terzo gruppo di specialisti – il quale nel modo più accurato aveva studiato tutte le mappe del servizio idrometrico governativo – aveva integrato tutte le attività dei servizi terrestri e aerei, confrontando quelle con i dati ricevuti dall’estero. Stimarono come non più del 3-4% del materiale radioattivo fosse stato effettivamente espulso dal quarto blocco. Tutte queste informazioni furono raccolte dal mio gruppo di lavoro ed ebbero un effetto pratico su quali azioni e sforzi dovemmo assegnare alle opere di decontaminazione e smaltimento.

A causa di tutte queste incoerenze nei dati venne formata una commissione e Anatoly Petrovich venne nominato arbitro alla ricerca degli errori. In conclusione, venne scoperto che il gruppo GeoChem si fosse sbagliato, in quanto le loro misurazioni furono effettuate utilizzando campioni contaminati da plutonio di origine militare usato all’epoca dei tanti test nucleari militari terrestri. Queste inaccuratezze vennero spiegate, ma era l’approccio in sé a non essere accurato.

Tutto riconduceva a questo numero: alla fine tra il 3% e il 4% del materiale era stato effettivamente espulso dal reattore del blocco quattro. Durante quel periodo tale valore bastò a creare una situazione piuttosto tesa, sebbene il Gruppo Operativo non mostrò alcuna tensione. Si limitavano infatti ad effettuare sempre più misurazioni, più elaborazioni, tentando il loro meglio date le condizioni.

Durante quel periodo, il Gruppo Operativo tentò di garantire la massima protezione per la popolazione, a partire dalla valutazione dei possibili gradi di contaminazione, decidendo quale fosse il livello complessivo massimo che portasse alla decisione di un’evacuazione. Ripeto che assistetti personalmente a tutto ciò. Vennero prese decisioni specifiche per aiutare la gente colpita dall’incidente. Questo è vero per ogni singolo caso, senza eccezioni.

Un’altra cosa che mi stupì in merito al Gruppo Operativo fu che non tentò mai di secretare le proprie decisioni. Alcune vennero prese in merito ai destini del primo e del secondo blocco, oppure sui tempi di completamento del sarcofago, oppure ancora dei lavori al quinto e al sesto blocco, o sull’abbandono di Pripyat. Tali decisioni vennero adottate, ma se alcuni dati sperimentali avessero, per esempio, mostrato che l’abbandono di Pripyat fosse stato evitabile tramite un’eventuale decontaminazione, rendendola persino abitabile in seguito, allora il Gruppo Operativo avrebbe modificato le proprie decisioni di conseguenza, senza che in tale cambiamento ci fosse niente di male.

Nikolai Ivanovich Ryzhkov era stato alla centrale più volte. Il Gruppo Operativo doveva anche decidere in merito all’accettare o meno aiuto dall’estero, il quale veniva offerto ripetutamente. Ricordando quei giorni di maggio, devo dire che dopo che Ryzhkov e Ligachev visitarono il sito dell’incidente, ricevemmo un ordine: la composizione della Commissione Governativa doveva cambiare.

Boris Eudokimovich Shcherbina rimase il leader della Commissione Governativa, ma venne presa una decisione per la quale tutte le attività a venire sarebbero state portate avanti da un secondo gruppo. Mentre il primo sarebbe tornato a Mosca, il secondo sarebbe stato coordinato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Ivan Stepanovich Silaev.

L’intero primo gruppo della Commissione Governativa partì, ma Shcherbina chiese a me e al compagno Sidorenko di rimanere un altro po’ per completare il lavoro. Sidorenko doveva investigare le cause dell’incidente e io dovevo completare la messa in sicurezza del quarto blocco, per quanto formalmente fossi stato sostituito, nel gruppo di Silaev, da Eugeny Petrovich Ryazantsev, vicedirettore del nostro Istituto di Energia Nucleare. Il suo arrivo concise anche con quello di Eugeny Pavlovich Velikhov, non saprei dire per ordine di chi.

In merito ho qualcosa da dire.

Eugeny Pavlovich Velikhov – il quale sembrava comunque aver guardato troppa televisione in merito alla “Sindrome Cinese” – presentò delle preoccupazioni che io riportai a Rizhkov e Ligachev. Eravamo preoccupati in merito alla forma irregolare di ciò che rimaneva del reattore. Era chiaro che il calore veniva generato all’interno della massa di combustibile atomico. Il riscaldamento avrebbe potuto continuare e avrebbero potuto verificarsi alcuni movimenti verticali di tale massa di combustibile. In particolare, eravamo preoccupati di due cose. In primis, ci chiedevamo se tali movimenti potessero determinare la formazione di una massa critica tale da produrre a sua volta degli isotopi brevi-vita. Speravamo che la grande quantità di boro (40 tonnellate) che era stata scaricata nel reattore avrebbe potuto, più o meno, miscelarsi al combustibile, aiutando così ad evitare tale eventualità. Comunque, non potevamo del tutto eliminare l’eventualità che tale situazione si presentasse. Questo il primo problema. Il secondo era che la temperatura al di sotto di tali masse potesse essere troppo elevata. Alcune strutture della parte inferiore del reattore avrebbero potuto non sopportarla e il cemento avrebbe così potuto cedere per le alte temperature. Parte del combustibile avrebbe potuto così insinuarsi all’interno dei gorgogliatori, sia nella parte superiore che inferiore; inoltre non sapevamo se vi fosse presenza di acqua o meno. Avevamo infatti paura che una considerevole quantità di combustibile potesse raggiungere queste valvole, così che la vaporizzazione di eventuale acqua avrebbe generato dell’aerosol radioattivo, contaminando così ulteriore territorio.

Questo spiega perché Ivan Stepanovich Silaev – che a questo punto aveva sostituito Shcherbina – decise di informarsi in merito ai livelli di acqua nei gorgogliatori inferiori, un compito svolto eroicamente dal personale della centrale. Emerse che in effetti erano pieni d’acqua, così vennero prese le necessarie misure per rimuoverla. Voglio stressare il concetto: rimuovemmo l’acqua per evitare una vaporizzazione massiva. Era assolutamente chiaro come nessuna esplosione fosse possibile, ma la vaporizzazione avrebbe raccolto e diffuso ulteriore particelle radioattive, e questo è quanto.

Eventualmente, se la massa fusa di carburante si fosse insinuata in questi locali, in una fase successiva avremmo potuto pomparla dentro per raffreddarla. Queste decisioni vennero accettate e trascritte. A quel punto però Eugeny Pavlovich cominciò a far riferimento alla “Sindrome Cinese”: i gorgogliatori avrebbero potuto fondere assieme al combustibile, raggiungendo poi il suolo e le falde acquifere, le quali si trovavano a soli 32 metri sotto la centrale di Chernobyl. In effetti, da questo punto di vista la centrale era davvero mal posizionata. Se il combustibile avesse raggiunto le falde avrebbe contaminato una considerevole quota delle acque ucraine.

La probabilità di un tale evento era estremamente bassa; nondimeno, come forma cautelare presa dopo un certo dibattito, il lavoro necessario per prevenirla del tutto venne approvato, indipendentemente dal fatto che alcuni specialisti fossero in dubbio sulla sua effettiva utilità. Eugeny Pavlovich insistette per la realizzazione di una sorta di letto di cemento sotto il reattore. Per farlo, i minatori lavorarono molto duramente, guidati dal Ministro del Carbone, dal compagno Schadrin e dai suoi specialisti, a loro volta guidati dal compagno Brezhnev del Ministero delle Costruzioni di media dimensione: realizzarono quindi i tunnel necessari sotto il quarto blocco, tunnel che sarebbero stati utilizzati per costruire il letto di cemento allo scopo di raffreddamento. Tutto ciò venne realizzato in un tempo molto breve, ma fu del tutto inutile, perché nessuna parte del carburante giunse mai fin lì e nulla, pertanto, venne raffreddato.

Comunque, intorno al 10 maggio arrivò Vyacheslav Dmitrievich Svetliy su chiamata di Velikhov, portando con sé svariati campioni di materiali precedentemente fusi con un laser. Questi ebbero un certo effetto psicologico su Ivan Stepanovich Silaev, il quale autorizzò i lavori.

Tutte queste misure furono eccessive. Al tempo risultarono però comprensibili, precauzionali in caso qualche massa non gestita causasse un ulteriore incidente. Questo ebbe anche un effetto considerevole sulla popolazione, dimostrando che le misure fossero state prese per proteggere le acque di faglia. Dal mio punto di vista, il motivo per cui non ero un sostenitore di tali misure né un loro detrattore era perché sarebbe stato necessario concentrare un gran numero di macchinari nella zona. A tale scopo sarebbe stato necessario organizzare un supporto adeguato. Testare che tali veicoli fossero appropriati per l’attività in quelle condizioni. Realizzare un sito di decontaminazione dei veicoli e accertare se fosse possibile decontaminarli in toto. Appurare a quali condizioni avrebbe dovuto esser preparata la gente che avrebbe lavorato sul sito, e per quanto avrebbe dovuto trattenersi lì. Inoltre, dato che il progetto relativo al sarcofago era appena all’inizio, era poco chiaro quali e quanti altri macchinari fossero necessari.

Come costruire la piattaforma di cemento sotto il reattore ci risultava totalmente sconosciuto. A me pareva importante che durante questa fase proattiva le misure per supportare gli uomini e creare condizioni di vita appropriate per loro, raccogliendo esperienze per un’organizzazione del lavoro su così vasta scala; alla luce di questo, tutte le decisioni furono corrette.

Tutt’altra questione fu quando Eugeny Pavlovich propose di costruire un’altra piattaforma analoga sotto le macerie del quarto blocco. Secondo la sua opinione là sotto c’era una gran quantità di combustibile nucleare. A tale scopo avremmo dovuto coinvolgere altri diecimila minatori, e portarli sul sito per lavorare. In questo frangente non potei tacere, così scrissi una lettera piuttosto rabbiosa ad Anatoly Pavlovich dove obiettavo con forza questa eccessiva allocazione di persone, la quale avrebbe subito forti dosi di radiazioni durante la costruzione della seconda piattaforma. Naturalmente, dato che sapevamo più o meno dove fosse distribuita la maggior parte della radioattività attorno a ciascuna zona del reattore, non vi fu poi alcun fondamento per svolgere un simile lavoro.

La protezione delle acque di faglia divenne uno dei problemi durante tutto il mese di maggio. Il fiume Pripyat formava da sé un considerevole bacino idrico e, peraltro, sfociava nel Dnieper. Beh, non c’è molto da spiegare sul Dnieper, data la sua portata. Ripeto a me stesso quanto le acque di faglia fossero relativamente vicine alla superficie sotto la centrale. Così, dopo aver appurato che le vittime dell’incidente fossero circa un centinaio, con decine gravemente ferite e tutti i restanti curabili, la maggior preoccupazione fu quella di esser sicuri in merito alla sicurezza della popolazione intorno al bacino del Dnieper. Era un compito centrale e molto importante. Ovviamente, le misure per evitare la contaminazione delle acque vennero attuate di continuo da lì in poi.

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