vagoni

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osservare chi viaggia con te in treno è uno sport ingiustamente escluso dalle discipline olimpiche. ha le sue regole di delicatezza e tatto, forse in tv non funzionerebbe ma da praticare resta uno spasso. così ti trovi in questo vagone stipato di corpi che sorreggono segreti idee ambizioni dolori, ti guardi intorno, come puoi ti soffermi, come puoi ti riscaldi ed entri in campo.
c’è questo ragazzone dai bellissimi occhi cerulei ma dagli anni portati malamente che ride, ride, ride sommessamente e sommessamente parla. parlotta, in realtà, con un’entità indefinita, un interlocutore invisibile ma che dev’essere un vero spasso, data la misura di quanto senza sosta continua a sorridere, ridacchiare, parlare. ogni tanto solleva lo sguardo, poi si appisola: pare quasi un video di Youtube che scatta quando c’è poco segnale di rete, qualche secondo di stasi a occhi chiusi e poi nuovi momenti di veglia, di risate, di parole incomprensibili.
c’è questo cucciolo di anziano vestito completamente di verde. il maglione solo di un punto leggermente più scuro dei pantaloni prato di Wimbledon, sarà il periodo dell’anno ma somiglia tanto a un albero di Natale un filo sovrappeso, tirato fuori dalla scatola giusto in occasione del gran varietà religioso. stanno come neve del presepe le briciole di pane cadutegli in petto dal panino che mangia direttamente dalla stagnola. gliel’avrà preparato la moglie, facendoglielo trovare come una sorpresa dentro la borsa di cuoio che, sventrata, lo guarda dal sedile accanto.
poi queste due ragazze, salite in stazioni diverse, sedute vicine e mai così diverse.
la prima è molto bella quanto mascolina, non tanto nei lineamenti quanto nelle movenze, nel tono della voce, nell’abbigliamento. la seconda è bruttarella ma senza impedimenti nell’esser comunque molto femminile, molto aggraziata. si ignorano bellamente, fin tanto una delle due non estrae una confezione da almeno mezzo chilo di mandorle sgusciate e tostate, l’equivalente energetico di un bastimento di carbone, quasi da illuminarci l’Illinois per un mese. le offre all’altra, lei accetta, cominciano a mangiarle assieme, fameliche. sembrano un unico organismo al contempo mascolino femminile bello brutto elegante volgare. mi gira la testa.
c’e questa signora alle porte dei settanta che pare la versione femminile di Bob Dylan ma senza i suoi testi, il suo Nobel e la sua – dicono i maligni – poca igiene personale. nel frattempo l’albero di Natale umano s’è addormentato. lo sveglieremo alla Befana. forse.
infine, ci sono io. per qualcuno che stia facendo lo stesso esercizio, sarò quel tipo lato corridoio che da un po’ ha tirato fuori il macbook per fare il fanatico mostrandone le terga solo per pavoneggiarne la mela morsicata, a suo tempo, dal compianto Steve Jobs. quel tipo che scrive scrive e scrive, si guarda intorno, ridacchia sicuramente meno del ragazzone dai begli occhi che parla da solo, ma che ridacchia pure lui.
cos’avrà da divertirsi tanto.
neanche stesse fotografando in parole un momento della sua vita.

firma Ale