le affinità elettive (in un percorso guidato)

Ogni volta è una roulette, ma realizziamo la cosa sempre e solo alla fine.
Magari abbiamo vagato tutto il giorno per la città, inconsapevoli, fino ad arrivare a quell’ingresso, il nostro traguardo. Stessa cosa hanno fatto loro, ignari e disinteressati rispetto alla nostra esistenza. Nemmeno ponendosi il problema, a dirla tutta. Tutto l’universo si è mosso in relazione ad altro, ma anche affinché noi ci trovassimo in quel momento, a quell’ora, in quel luogo. Noi e loro.
A volte si tratta di una galleria d’arte, altre di qualche posto un po’ più ricercato ma insomma, sempre di uno spazio espositivo parliamo, che sia trovi a Roma in una meravigliosa ottobrata (a proposito, grazie per oggi, caput mundi), a Vladivostok o qualunque altra città di questo piccolo, stupido pianeta.
L’idea è quella, diciamo, di prendere visione di una mostra fotografica di qualche grossa firma, piuttosto che un’esposizione d’arte moderna o di altre follie umane. Biglietteria, portafoglio – solo un sorriso se avete la fortuna di essere accreditati come stampa – e via, ci si avvicina all’ingresso, dove un donnino in un’uniforme troppo stretta vidimerà il vostro biglietto e darà il la alla vostra esperienza.
Accorti di niente?
Beh, cattivo spirito di osservazione o, come dicevo prima, naturale distrazione che colmerete, probabilmente, a breve.
Le persone prima o dopo di voi (subito prima o dopo di voi) in fila in biglietteria, beh, sappiatelo, sono LORO. Sono coloro che non sapevano di voi come voi non sapevate di loro. Sono i vostri partner. I vostri compagni. Coloro messi sul vostro cammino dall’universo, dal caos, persino da Dio, se malauguratamente ci credete: quelli che vi accompagneranno da vicino in questa esperienza culturale.
Poniamo il caso sia quello dell’esposizione fotografica. Robert Capa, Museo di Roma, ad un passo da dove tutto per me è cominciato (ma questa è un’altra storia), un genio del reportage di guerra. Il percorso è guidato: un punto d’ingresso, tante stanze contigue, frecce discrete alle pareti per guidarci come vitelli al macello industriale verso un chiodo in testa e tanto, tanto bel materiale da vedere, guardare, per il quale emozionarsi, ritrarsi, sentirsi piccoli, sentirsi grandi.
Entri, prima fotografia sul muro.
Ecco: il momento, quel momento, è arrivato.
Prima di voi, di me, c’è questa coppia di personaggi, entrati mezzo secondo prima. Mezza età. Lui italiano, lei vietnamita, credo. Mi ricorda Kim Phuk, la bambina nuda della celebre foto scattata durante la guerra americana in Vietnam – sarà Robert Capa a condizionarmi, ma tant’è. Stazionano davanti alla prima fotografia, leggermente inclinati col busto in avanti, quanto basta per mandarli a rilevare la temperatura del marmo del pavimento se solo decidessi di toccarli delicato con un dito tra le loro scapole.
Attendono che quelli prima di loro proseguano, è chiaro, perché in quella che stanno osservando loro, la prima (che io per inciso non ho ancora visto), non c’è molto da vedere, e vorrebbero passare alla seconda. Come dicevo, a mia volta io vorrei cominciare la mia esperienza e son lì che aspetto, e soprattutto.. spero.
Ecco, la questione è tutta qui, e scusate se l’ho tirata per le lunghe.
Ci sono partner designati per vivere assieme queste esperienze. A meno di andarci un martedì lavorativo alle 11 del mattino (e anche lì avrei dei dubbi), a vedere una mostra ti capita sempre qualcuno prima e qualcuno dopo, e te la devi giocare, o meglio: devi avere fortuna. Le affinità elettive le scopri nelle tempistiche con le quali vivi l’esperienza, ti può dire bene, ti può dire male.
“Saremo compagni per la prossima ora, vogliamo rispettarci?”
Voglio dire, non mi costringere a fare qualche tipo di sommesso rumore per farti percepire la mia presenza (per quanto il mio odore magari lo stai percependo da quindici minuti, ma vabbè) per farti capire che è l’ora che ti levi di torno, o che passi oltre. Sii affine, io sarò affine a te, te lo prometto, nella buona e nella cattiva sorte, sia che la mostra sia una porcheria, sia che sia la migliore di sempre.
A volte capita. Trovi quello che sembra sincronizzato ai tuoi tempi, c’è quasi qualcosa di sessuale nella cosa, tu ti muovi, io mi muovo, io ti chiedo tu mi dai, tu mi chiedi, io ti do; io ho la volontà di andare avanti e tu sposti il capoccione, tu hai voglia che io mi attardi un attimo, ed io involontariamente lo faccio. Allora lì entri in sintonia ed è magnifico. A metà esposizione cominci a guardarti, c’è intesa, butti l’occhio, lui la butta a te, uno dei due si arrischia al commento “ammazza, ao, che foto”- ma è lì, attenzione, che diventa pericoloso. Eh si, potrebbe rompersi la magia. Potresti trovare uno che ti risponda “eh, ao si bella, ma non rispetta la regola dei terzi” oppure “non ci vedo la regola aurea”. Capita. Una tipa una volta ad una mostra di Klimt mi disse qualcosa del tipo “si, fantastico, guarda l’uso del polso nel piegare le setole del pennello”. Me ne andai. Giuro.
Comunque sia, è bello essere fortunati e trovare l’anima/e gemella/e per quell’ora di mostra. A volte arrivi, pensa tu, addirittura a salutarti alla fine. C’è gente che ci s’è pure sposata.
Spesso, invece, è un disastro. Trovi il super esperto con la famiglia al seguito, che deve spiegare qualunque aspetto relativo all’opera in questione. Dici tu, superalo, no. Pare facile. Lui lo capisce, ti marca stretto come Gentile su Maradona. Appena ti vede un minimo in ritardo su qualcosa che ti ha fatto spalancare la bocca e accendere il cervello, ti risupera, quatto quatto, e te lo ritrovi davanti. Non parliamo di quelli con le audioguide. Sembrano prima tarantolati, poi in coma, poi di nuovo tarantolati. Un incubo.
Io sono psicopatico, lo so, ma spesso quando son solo mi piace sparigliare le carte. Mi fermo e torno indietro. Ma indietro indietro, tipo all’inizio. Ritenta sarai più fortunato. Hai visto mai, magari becchi la tua metà e al contempo mandi avanti l’insopportabile incompatibile.
Oppure mi godo quelli che vanno al mio ritmo. Mi piacerebbe dargli una pacca sulla spalla e dire qualcosa tipo “ti sei accorto anche tu di che feeling, eh, che abbiamo”, ma potrei venir frainteso, sono tempi strani.
E quindi taccio.
E passo alla fotografia successiva.
Lo faccio a memoria, senza guardarmi accanto, tanto so già che sarà passato oltre, come quei calciatori alla Totti che mettono la palla col tachimetro precisamente dove vogliono, tanto lo sanno che il compagno sarà dove si aspettano che sia.
E che la butterà dentro.
Vedere una mostra con piacere, senza intoppi, è come una bella azione di calcio, pochi tocchi di prima, tanta maestria e alla fine tutti sotto la curva a festeggiare.

Diciamo che oggi pomeriggio ho fatto 0 a 0, in fondo solo questo volevo dirvi.