impronte

da bambino vivevo alla Spezia, città che ho poi abbandonato a 23 anni per trasferirmi a Roma. in un giorno del mio ottavo anno di età, sgambettando di ritorno da scuola mi imbattei in un piccolo cantiere: in mattinata degli operai avevano ancorato al suolo dei paletti sui quali montare dei paracarri per proteggere il marciapiede. gli operai erano andati via e il cemento era ancora abbastanza fresco, un richiamo troppo forte per il bambino che ero, tanto dal non potermi trattenere nell’affondarci la suola della scarpa, lasciando così una piccola, indelebile impronta. un gesto spensierato, da monello. m’allontanai pensando ad altro, non sapendo che quel semplice gesto aveva appena generato una macchina del tempo. ogni qual volta son passato di lì, infatti – da adolescente, poi da ventenne, poi trentenne e oltre – ho trovato quell’impronta sempre uguale, immobile nel tempo, a ricordarmi del bambino che ero, un sensibile monello in quei giorni di spensieratezza, di sogni e di illusioni. era un mio piccolo segreto, quella risposta che solo io conoscevo alla domanda mentale di migliaia di passanti su di chi fosse quell’impronta. beh, era mia.

di recente, durante una delle mie rapide sortite alla Spezia, ho realizzato che la strada è stata profondamente ristrutturata pavimentando anche il marciapiede, così quell’impronta, oggi, non esiste più. con lei è morta un po’ della mia infanzia, ma non c’è tristezza, perché la verità è che quel bambino, quel monello, quei sogni, tutt’ora albergano in me. è semplicemente tempo di impastare nuovo cemento e di lasciare nuove impronte, magari nel cuore di chi mi frequenta, impronte che resistano, questa volta, a qualsiasi ristrutturazione.

firma Ale