non è un poesia ma una cacio e pepe

li vedi entrare  come bambini,  hanno sorrisi sinceri a trentadue denti, sono turisti affamati e cercano l’esperienza italiana, quella del piatti caldi, fumanti, pieni di sapore, che racconteranno a parenti ed amici una volta tornati in patria. “you can just barely imagine”, diranno.
si siedono, così felici che nel piccolo ristorante quattro-pallini-su-tripadvisor ci sia posto. fremono, non vedono l’ora di ordinare, e quella di alzarsi pagare e andarsene è remota tanto quanto quella della loro futura dipartita. per quel che li riguarda, potrebbero anche morire subito dopo il pasto. un buon compromesso: andarsene sì, ma a pancia piena e con gran stile.
arriva il cameriere che gli parla serratamente in italiano, anzi in romanesco, ma loro capiscono comunque, o forse no, alla fine non fa gran differenza. qualunque cosa ti serviranno andrà bene, più che bene. scrutano famelici le portate che passano nei corridoi, destinati ad altri tavoli, indicano, commentano, rumoreggiano e brindano a vino rosso, finché non arriva il loro piatto, allora tacciono i dialetti della perfida Albione e vi si tuffano, si sporcano, gonfiano le gote, deglutiscono, godono. saranno forse poco eleganti, certo, ma davanti alla loro prima cacio e pepe tutto è permesso.

tu, seduto in un angolo, sei ormai al dessert e li osservi ancora per qualche istante, prima di alzarti per saldare il conto e andartene. lascerai pagato un amaro a quel tavolo di pallidi inglesi che hai squadrato con candida ironia sin dal loro ingresso, sfottendoli mentalmente ma invidiandogli l’emozione della scoperta, della novità.
ma sì, che godano il momento, i sapori, l’esperienza italiana, questa magnifica città inzuppata di questo sole primaverile in anticipo sui tempi.

mica possono farlo tutti i giorni, poveri diavoli.

firma Ale

[altre poesie]