l’uomo che riparava le nuvole (1)

PRIMO.

L’uomo che riparava le nuvole da cent’anni viveva in una semplice casetta di legno costruita a picco di una delle tante bianche scogliere del nord della Gran Bretagna.
Da che ne avevano memoria, tutti erano convinti egli fosse un semplice allevatore. Nella realtà dei fatti lo era, almeno tecnicamente: Il suo gregge di quarantanove pecore dormiva nel caldo dell’ovile di notte, mentre di giorno brucava, instancabile, sui verdi prati pianeggianti alle spalle della casa del loro padrone. L’uomo che riparava le nuvole aveva da sempre un cane di nome Pitello, un povero affettuoso bastardino che fungeva da pastore al posto suo. Il cane conosceva tutte le pecore del gregge, una per una, senza farsene mai sfuggire alcuna. O quasi. Una, in realtà, molti anni orsono, durante il rientro all’ovile gli sfuggì dallo sguardo e dal controllo e la sventurata, avvicinatasi pericolosamente al ciglio della scogliera scivolò e cadde di sotto. Un pessimo spettacolo. Ma l’uomo che riparava le nuvole aveva un buon carattere e non se la prese più di tanto, pur rimanendoci malissimo. Di certo, mai quanto il povero Pitello, cane inutile che aveva fallito. E’ bene sapere che quel gregge di cinquanta pecore fosse un regalo del signor Lumenè, un ricco proprietario terriero francese, un regalo speciale per un lavoro speciale. L’uomo che riparava le nuvole aveva letto un articolo sul giornale che raccontava di questo incredibile appezzamento di terra francese, di forma quadrata, due chilometri per due, dentro il quale non cadeva più la pioggia, si raccontava, da più di quattro anni, con incredibile scorno del proprietario, il signor Lumenè, per l’appunto. Sebbene l’uomo che riparava le nuvole lavorasse tipicamente nel proprio hangar, definito dalle pareti lisce e altissime della scogliera contro le quali le nuvole guaste andavano a parcheggiarsi nell’attesa che qualcuno (lui, appunto) intervenisse, decise di fare una capatina in Francia, raccogliere magari un po’ di lavanda, comprare un po’ di formaggio, confondersi tra le persone normali dotate di quella lingua così strana e, già che c’era, avrebbe fatto un salto dal signor Lumenè, per capire quale fosse il problema e possibilmente, risolverlo.
Quando l’uomo che riparava le nuvole arrivò presso la tenuta Lumenè, non faticò a riconoscerla sebbene fosse ancora distante. Mentre tutti i terreni limitrofi, che disegnavano verdi e dolcissime colline, erano per l’appunto rigogliosi e profumati, il terreno della tenuta, perfettamente quadrato e pianeggiante, era giallo ocra, polveroso e spaccato dall’arsura, tagliato come da tante rughe profonde sino all’inferno. Quando i due si incontrarono non ebbero bisogno di parlarsi. D’altrond Lumenè non parlava una parola d’inglese così l’uomo che riparava le nuvole non una di francese. Non avrebbero potuto comunicare, anche volendo, in qualche modo. Ma non vollero, non dovettero. Si capirono semplicemente con uno sguardo sull’uscio di casa.
Il francese uscì e accompagnò l’inglese nel retro della casa, la quale affacciava sul terreno riarso dal sole. Un mini deserto nel bel mezzo della Francia, a sua volta nel bel mezzo di dolci colline verdi e lussureggianti. L’uomo che riparava le nuvole lo seguì in silenzio, trascinando con se la sua pesante sacca di pelle consumata contenente gli strumenti di lavoro. Si fermarono al centro del terreno. Lumenè lo guardò pieno di tristezza e si mise a piangere, in francese. Lacrime bollenti si raccolsero sul mento dell’uomo, fin tanto una goccia fuggitiva scivolò via da quel laghetto facciale per cadere sul suolo assetato. L’uomo che riparava le nuvole allora aprì la vecchia e consunta borsa, e tirò fuori un mozzicone di candela, di quelle da chiesa, l’accese con un cerino, face sciogliere un po’ di cera e la fece colare nell’esatto punto dov’era caduta la lacrima calda del signor Lumenè. Raccolse il pezzo di terra secca bagnato di lacrime e cera. Lo polverizzò tra le mani, poi disse qualcosa che il francese non capì, allargò le dita che stringevano il mucchietto di terra lacrime e cera e lo lasciò cadere nel vento che nel frattempo, morbido, s’era alzato.
Il cielo, fino a un momento prima azzurro come mare sospeso, si coagulò in nuvole, proprio sopra di due chilometri per due di deserto nel cuore della Francia. Da lì a poco, i due uomini si scoprirono zuppi di una pioggia violenta e benefica come una doccia, immobili al centro del campo. Dei due, uno continuava a piangere.
Fu così che Lumenè, un po’ a gesti, un po’ in francese, un po’ con l’ausilio di buon vino, si fece capire dall’uomo che ripara le nuvole e si fece scrivere su un piccolo pezzo di carta di quaderno il suo indirizzo. Dopo poche settimane, ormai rientrato,l’uomo che riparava le nuvole si vide consegnare dal un buffo camioncino blu cinquanta pecore, tutte uguali, mansuete, piene di lana e di latte.
Ecco come andò con la storia del gregge di cinquanta pecore.
Ora quarantanove, povero Pitello.

(continua)